L’ex governatore della BCE, Jean-Claude Trichet, oggi a capo del Gruppo dei Sette, si è detto ottimista sulla possibilità che tra le grandi economie del pianeta con valute convertibili si trovi un’intesa per evitare una corsa alla svalutazione per fini competitivi. “Abbiamo probabilmente una finestra di opportunità, affinché la situazione si stabilizzi tra le grandi valute convertibili”. Trichet ha ricordato che non esisteva un’attenzione così forte al cambio delle valute sin dai tempi della fine di Bretton Woods, affermando che a ciò sembrano guardare gli americani, i britannici, i giapponesi e gli europei.
APPROFONDISCI – La BCE varerà nuovi stimoli giovedì? Segnali di guerra valutaria nel mondo La Scandinavia reagisce a Draghi. Segnali di allerta da Danimarca, Svezia e Norvegia Il dollaro USA si è rafforzato del 15% contro lo yen quest’anno e del 13% contro l’euro. L’8 maggio scorso, prima che la BCE annunciasse nuovi stimoli monetari, il cambio tra l’euro e il dollaro era poco meno di 1,40, quando ieri è scivolato a meno di 1,22, il livello più basso degli ultimi 2 anni. Ma mentre l’Eurozona e il Giappone sono felici dell’indebolimento delle rispettive valute, diversa è la situazione tra le
economie emergenti, dove si teme un eccessivo surriscaldamento dei prezzi. Le 31 valute emergenti monitorate da Bloomberg mostrano la massima debolezza contro il biglietto verde degli ultimi 10 anni. Paesi come Indonesia e Messico sono intervenuti a sostegno della valuta locale, ma lo stesso stanno facendo da tempo anche il Brasile, per non parlare del caso eclatante della Russia, che ha visto crollare il rublo del 44% in meno di un anno.
APPROFONDISCI – Mercati emergenti, le banche centrali si muovono in ordine sparso. Vediamo il trend Non solo la Russia. I mercati emergenti tremano per il rafforzamento del dollaro Nel 1985, le maggiori economie mondiali raggiunsero il cosiddetto Accordo di Plaza, con il quale si cercò di frenare la forza del dollaro.
Da allora, due sono stati gli interventi: il primo nel 2000, quando si cercò di rafforzare il neonato euro, il secondo nel 2011, quando si tentò, al contrario, di indebolire lo yen. Un intervento diretto sul mercato valutario è difficile e probabilmente sarebbe anche inefficace, dato che parliamo di scambi quotidiani per 5.300 miliardi di dollari. La strategia delle maggiori
banche centrali è quella di intervenire con stimoli monetari, che possano indebolire il tasso di cambio, attraverso un aumento della liquidità.
APPROFONDISCI – Marc Faber: il capitalismo non è più libero. Le banche centrali causano diseguaglianze Referendum oro Svizzera, i sì sono avanti? Le banche centrali temono l’effetto domino Lo hanno fatto la Federal Reserve, la Bank of Japan, la Bank of England, la People’s Bank of China, la SNB e da poco anche la BCE, solo per limitarci agli istituti più importanti. Un punto di incontro tra le opposte esigenze potrebbe arrivare dall’adozione comune di politiche di
“inflation targeting”, ossia di fissazione dell’obiettivo d’inflazione nel medio termine al 2%. Nel lungo periodo, l’equilibrio tra i cambi potrebbe arrivare solo se ciascuna economia facesse la sua parte: l’America dovrebbe ridurre gli stimoli monetari e il deficit fiscale, in modo da riequilibrare la bilancia commerciale; la Cina dovrebbe rendere più flessibile lo yuan e al contempo puntare meno sulle esportazioni e più sulla domanda interna. La Germania dovrebbe ridurre l’eccesso delle partite correnti, puntando sulla domanda privata interna, accettando una minore propensione al risparmio delle famiglie tedesche. Tutto facile a dirsi, ma maledettamente difficile da trasformare in pratica.
APPROFONDISCI – La Germania contro l’Europa: non ridurremo il surplus delle partite correnti