Troppa burocrazia, in Italia è impossibile fare business

Per la Banca Mondiale, il nostro paese è agli ultimi posti in Europa per fare impresa e dietro a Zambia, Albania e Mongolia. Colpa dell’eccessiva burocrazia, del malfunzionamento della giustizia e del fisco asfissiante
11 anni fa
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L’Italia è all’87° posto al mondo dove fare business, ma potrebbe scivolare anche al centesimo posto alla fine del 2013. Lo anticipano gli esperti della Banca Mondiale che già lo scorso anno (rapporto Doing Business) avevano evidenziato uno scivolone del nostro paese dal 83° posto su 187 nazioni prese in esame. Siamo in pratica finiti dietro a Mongolia, Bahamas, Zambia, Brunei e Albania, tanto per farsi un’idea, ma potremmo finire in coda a molti altri stati africani e asiatici che in questi ultimi anni hanno innescato una marcia in più verso le riforme e la crescita.

Non solo, siamo per la Banca Mondiale anni luce distanti dalle grandi economia europee, quali Regno Unito (7° posto), Germania (19° posto) e Francia (29°), per non parlare poi degli altri grandi del G7, Stati Uniti, Canada e Giappone, che si sono piazzati rispettivamente al 4°, al 12° e al 20° posto. E questo significa essenzialmente una cosa: meno investimenti da parte degli stranieri e delle multinazionali e recessione più lunga e profonda.

 

Burocrazia, giustizia e sindacati rallentano le iniziative imprenditoriali

 

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La causa principale del crollo della capacità di fare impresa di un paese a forte vocazione industriale – secondo l’ufficio studi di Confindustria – è dovuto all’eccessivo peso della burocrazia e al mal funzionamento degli apparati pubblici. Per gli imprenditori, la burocrazia italiana è vista come un forte ostacolo all’avvio di nuove attività e alla risoluzione dei problemi contrattuali per i quali ci si deve rapportare a un sistema giudiziario inefficiente. Basti vedere la normativa sui contratti di lavoro che è regolamentata da una selva di leggi e regolamenti di difficile comprensione anche per legali e commercialisti. Oltre a ciò vi è ancora una forte quanto anacronistica presenza dei sindacati in ogni angolo di attività produttiva che spesso frena o impedisce la flessibilità del lavoro, come diversamente già avviene in molti altri paesi industrializzati.

Per dirla con le parole di Sergio Marchionne, ad di Fiat, in Italia è diventato impossibile fare impresa. Ne sa qualcosa la sua azienda che sta lentamente e gradualmente spostando le proprie attività produttive all’estero, così come le multinazionali straniere che non aprono più attività in Italia come un tempo preferendo basare i loro quartier generali in Gran Bretagna, Germania, Svizzera, addirittura in Spagna dove le normative sono più chiare e semplici, mantenendo in Italia solo sedi operative o di distribuzione commerciale. Se poi a tutto questo si aggiunge l’enorme pressione fiscale che viene applicata su ogni genere di attività, non c’è da meravigliarsi se l’Italia presto scivolerà agli ultimi posti al mondo per fare business. Termometro indicatore sono le migliaia di chiusure aziendali che ogni mese si registrano, vuoi per motivi di insolvenza, vuoi perché gli imprenditori italiani preferiscono migrare all’estero dove non vi sono selve burocratiche e legislazioni complicate da superare.

 

Le multinazionali straniere abbandonano gradualmente l’Italia

 

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La conseguenza di tutto ciò è l’impoverimento del tessuto economico italiano, ma anche il calo degli investimenti stranieri nel nostro paese che costringono il governo a inasprire le imposte e le sanzioni per sostenere l’enorme debito pubblico. Secondo la Banca Mondiale, su 40 miliardi di dollari investiti dalle multinazionali nel mondo, solo 0,6 miliardi giungono nella penisola. Mc Donalds, ad esempio, nel 2012 ha investito più soldi in Polonia che in Italia, mentre Bridgestone sta cercando di chiudere lo stabilimento a Bari per aprirne uno più grande nel Sud-Est asiatico. Anche la General Electric sta alleggerendo la sua presenza nella penisola, così come è ormai nota la chiusura degli impianti del gigante americano dell’alluminio Alcoa in Sardegna. Del resto – secondo la Banca Mondiale – il primo posto al mondo dove risulta più facile fare business è Singapore, seguito da Hong Kong, Cina, Nuova Zelanda e, naturalmente, Stati Uniti.

  L’indagine si basa sull’analisi di 10 voci chiave del quadro normativo che riguardano l’intero ciclo vitale delle imprese, ovvero: avviare un’impresa, permessi di costruzione, permessi per l’allaccio della corrente elettrica, registrazione della proprietà, accesso al credito, protezione degli investitori, pagamento delle tasse, commercio transfrontaliero, rispetto dei contratti e giustizia civile. Tutte cose che in Italia risultano estremamente complicate e al limite della tolleranza civile, non solo per un’azienda, ma anche per una famiglia. Se poi si salta il pagamento di una bolletta o manca la firma per un’autorizzazione, sono dolori per le tasche del contribuente.

 

Anche l’Imu impedisce alle imprese di fare business in Italia 

Ad aggravare la situazione – secondo la Banca Mondiale – è poi la questione dell’Imu. Il patrimonio residenziale italiano “ammonta a 6.355 miliardi di euro con una media di 4,2 volte il Pil nazionale. La tassazione indiscriminata del patrimonio immobiliare e quindi anche di quello a uso commerciale e industriale, sta creando notevoli problemi anche agli imprenditori italiani e stranieri presenti sul territorio, già soffocati da un’eccessiva pressione fiscale e da un costo del lavoro che non ha eguali in Europa se rapportato agli standard di vita. [fumettoforumright]Vero che in tempi di recessione – osserva il Consiglio Nazionale del Notariato – a fronte di un sostenuto debito pubblico esiste in Italia un consolidato risparmio privato rappresentato quasi totalmente dal patrimonio immobiliare che in questo periodo sta funzionando quale vero ammortizzatore sociale”, ma l’imposizione non può essere fatta in maniera indiscriminata. Perché un’eccessiva imposizione su immobili e terreni a uso commerciale si ripercuoterà inevitabilmente sull’impresa che, a quel punto, preferirà chiudere e andare a produrre in paesi limitrofi dove l’Imposta sugli immobili non c’è o è leggera. Pertanto, se il governo non riuscisse a regolamentare la normativa a breve, il rischio che l’Italia scivoli ancora più in passo rispetto agli altri paesi del mondo non sarà più solo un’ipotesi degli ultimi giorni.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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