Il sistema pensionistico italiano è sostenibile o no? Secondo il nono rapporto di Itinerari Previdenziale, che esamina a fondo i dati del 2020, lo è ma occorrono tagli alle pensioni anticipate.
Lo studio si basa sostanzialmente sui dati degli occupati e dei pensionati riferiti al 2020. La diminuzione del tasso di occupazione e l’aumento del numero dei pensionati non è in equilibrio e i conti previdenziali vanno raddrizzati.
Il rapporto fra lavoratori e pensionati
Al 31 dicembre 2020 il numero dei lavoratori in Italia era sceso sotto i 23 milioni (22.839 mila), mentre il numero dei pensionati era cresciuto a quota 16, 041 milioni con un incremento di 6.000 unità rispetto al 20129.
Per l’effetto combinato di questi due valori – osserva Mara Guarino di Itinerari Previdenziali – il rapporto attivi/pensionati scende a 1,4238, valore fondamentale per la tenuta di un sistema pensionistico a ripartizione come quello italiano. Nel 2019, toccava invece la quota record di 1,4578 (-2,4%), miglior dato di sempre tra quelli registrati dal Rapporto.
Il livello di “sicurezza”, come soglia necessaria per la stabilità del sistema pensionistico, sta a 1,5. Quindi siamo ancora lontani, anche se non di molto, ma è necessario aggiustare il tiro sulle pensioni per non andare fuori coi conti. Come dice Pasquale Tridico, presidente dell’Inps,
“con meno di 23 milioni di lavoratori sarà impossibile sostenere le pensioni in futuro”.
Pensioni anticipate nel mirino del governo
A oggi il sistema è sostenibile – precisa Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali – ma affinché si mantenga la sostenibilità pensionistica, sarà indispensabile intervenire su 4 ambiti fondamentali:
1) le età di pensionamento, attualmente tra le più basse d’Europa (62 anni l’età effettiva in Italia contro i 65 della media europea), nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale;
2) l’invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione;
3) la prevenzione, intesa come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute;
4) le politiche attive del lavoro, da realizzare di pari passo con un’intensificazione della formazione professionale, anche on the job».
Insomma, serve un serio cambio di rotta da parte del nostro Paese che oggi vede la quasi totalità della spesa pubblica indirizzata verso sussidi e assistenzialismo. Quando invece necessiterebbe di una seria revisione della propria organizzazione del lavoro e dei propri modelli produttivi.