Ammontano a 645 milioni di euro le richieste di rimborso nei confronti dei soli BancoBPM e Unicredit, due delle banche italiane coinvolte nello scandalo della truffa dei diamanti. In dettaglio, 13.300 clienti hanno reclamato all’istituto lombardo-veneto 430 milioni, a fronte dei quali sono stati stanziati già 318,3 milioni per 2.570 istanze, di cui 33,1 milioni utilizzati già nel 2018. Sono stati 5.680 i clienti di Piazza Gae Aulenti, invece, ad avere presentato domanda, per un controvalore complessivo di 215 milioni, rispetto ai quali risultano accantonati 74 milioni e relativamente a 1.623 pratiche.
La truffa dei diamanti: Vasco Rossi tra i raggirati
Come avveniva la truffa? Dal 2012 al 2016, le banche promuovevano, tramite la rete degli sportelli, la vendita di diamanti per conto di due distributori: Intermarket Diamond Business, società da poco fallita; Diamond Private Investment. Alla prima facevano riferimento BancoBPM e Unicredit, alla seconda MPS e Intesa. Le pietre preziose venivano collocate presso la clientela a prezzi notevolmente più alti del loro reale valore di mercato, il quale era effettivamente del 50-70% più basso. Per giustificare tale “gap”, si indicavano listini fasulli, pubblicati sui principali quotidiani nazionali come pubblicità a pagamento e che si discostavano dalle valutazioni ufficiali di Rapaport e Idex, i due punti di riferimento per le quotazioni mondiali dei diamanti.
I prezzi scontavano spese assicurative e alte commissioni del 15-20%, le seconde previste come compenso per l’opera di intermediazione delle banche. Ai clienti veniva prospettato un rendimento medio annuo del 3-4%, non così infimo in tempi di tassi azzerati. Attenzione: esso non veniva garantito, in quanto ciò formalmente avrebbe fatto scattare il presupposto di “investimento finanziario”, tale da ricondurre la vendita dei diamanti sotto la vigilanza di Consob e Banca d’Italia.
Come avveniva la truffa dei diamanti
Le banche sostanzialmente cercavano di convincere i clienti, giocando con le parole e facendo loro immaginare che: 1) le pietre valessero quanto effettivamente da loro pagato e sarebbero cresciute ulteriormente di prezzo negli anni futuri; 2) avrebbero potuto rivenderle alla stessa banca nel caso avessero voluto disinvestire in futuro. Veniva prospettato, quindi, un mercato liquido e dalle valutazioni generose e crescenti. Vogliamo essere onesti? Se davvero oggi si andasse in tribunale ad esaminare caso per caso, non è affatto detto che le banche collocatrici ne uscirebbero con certezza sempre sconfitte. Esistono ombre piuttosto fitte sul loro operato, come lasciano trasparire le indagini dei giudici per il possibile reato di corruzione tra privati, in relazione agli “incentivi” pagati dai distributori ai dipendenti degli istituti che si occupavano della vendita, come buoni viaggio, etc. Tuttavia, basta questo per affermare che le banche abbiano raggirato i clienti nel senso penale del termine?
Federconsumatori offre assistenza contro le banche
La truffa dei diamanti è salita a galla nell’ottobre del 2016, quando fu svelata da una puntata di Report. Da allora, le richieste di spiegazioni dei risparmiatori s’impennarono e queste operazioni furono improvvisamente oggetto di forti attenzioni degli enti di vigilanza e delle procure. Qui, vogliamo affrontare il discorso da un diverso punto di vista, meno moralistico, per quanto sia scontata la condanna verso chi avrebbe anche solo semplicemente piazzato patacche ai clienti, spacciandole per un investimento-rifugio, celandone le criticità, oltre che le reali valutazioni. La capacità delle banche di imbrogliare i malcapitati è andata di pari passo all’ignoranza di quanti in Italia s’improvvisano di volta in volta investitori di grido, sebbene sconoscano i fondamentali dei mercati su cui dirottano i propri risparmi, spesso frutto di sacrifici di un’intera vita di lavoro.
La truffa dei diamanti forse non sarebbe stata realizzata in un periodo storico diverso. E’ avvenuta in anni di fame di rendimento da parte dei risparmiatori e di ricerca disperata di margini delle banche. I primi non hanno saputo, e ancora oggi non sanno, dove investire per mettere anche solo minimamente a frutto i loro risparmi; le seconde non riescono a produrre utili sufficienti dalla loro attività principale, vale a dire dall’erogazione di prestiti. Ciò è dovuto all’azzeramento dei tassi sui mercati e alle maxi-iniezioni di liquidità delle principali banche centrali. Tutto ciò ha annientato i rendimenti di quasi ogni forma di investimento, persino di quelli tipicamente più rischiosi, al contempo sbizzarrendo i meno scrupolosi su come fare qualche affare conveniente, facendo intendere una cosa per un’altra.
La scarsa educazione finanziaria in Italia
Alla base della truffa vi è stata certamente l’asimmetria informativa, piuttosto palese nella discrepanza tra valore reale e prezzo dell’investimento. I clienti hanno comprato un bene di cui sconoscevano non solo le quotazioni veritiere, bensì pure il comportamento e i trend di lungo periodo sul mercato. Hanno confuso verosimilmente, imboniti dalle banche, i diamanti con l’oro, pensando che i primi fossero semplicemente la replica in più grande stile del secondo. Non è così. Il metallo giallo è un mercato liquido, tant’è che esistono quotazioni ufficiali (in dollari), valide in tutto il mondo e consultabili da chiunque in ogni momento. I diamanti non posseggono prezzi ufficiali, dato che gli indici internazionali forniscono solo un valore approssimativo e legato alle pietre standard.
Investire in diamanti, qualche accorgimento per non sbagliare
Potrebbero essere necessari anni prima di trovare un compratore, mentre tutti sappiamo che possiamo vendere un lingotto d’oro anche subito, magari recandosi presso il gioielliere vicino casa. Avrebbero investito in diamanti le migliaia di risparmiatori, se avessero saputo tutto ciò? Ne dubitiamo fortemente. Certo, sarebbe stato dovere della banca istruirli sulle caratteristiche fondamentali dell’oggetto del loro investimento, mentre abbiamo assistito a una deplorevole pratica di raggiro. Resta il fatto che il miglior modo per non essere truffati è informarsi per tempo. In Italia, manca una cultura finanziaria diffusa minimamente adeguata. E a dirlo sono le classifiche internazionali, che ci collocano in coda ai paesi avanzati. L’assenza di consapevolezza ci rende esposti alle cattive pratiche. Lo abbiamo scoperto negli anni recenti con le obbligazioni bancarie subordinate, in molti casi acquistate senza che si sapesse cosa realmente fossero, anzi spacciate come titoli “sicuri” per fare soldi facili. Noi italiani abbiamo la tendenza a delegare a terzi – giudici, enti di vigilanza, legislatore – il controllo sulle nostre azioni, pretendendo di essere compensati nel caso abbiano portato a conseguenze per noi pregiudizievoli.
Può un’economia evoluta come la nostra continuare a restare così indietro in termini di educazione finanziaria? Non parliamo di istruire tutti gli italiani come se dovessero diventare economisti alla Milton Friedman o finanzieri alla Warren Buffett, quanto di renderli un minimo autonomi nelle decisioni di investimento, conoscendo il funzionamento elementare dei mercati. Non esisteranno mai prospetto informativo obbligatorio e impiegato allo sportello scrupoloso a sufficienza per colmare le lacune di chi non sa come si muovano i rendimenti e i prezzi, anche in relazione al grado di rischio assunto. Il solo fatto che i clienti abbiano abboccato alla prospettiva di rendimenti sostanzialmente certi per i diamanti segnala che non si sia avuta idea del tipo di investimento. Nemmeno per l’oro possiamo ipotizzare se e quanto crescerà di prezzo da qui ai prossimi tot anni. E la somma tra banche imbroglione e clienti ignoranti ha provocato l’ennesimo scandalo, il quale quasi certamente non sarà l’ultimo, viste le premesse.