Trump voleva il dollaro debole, il mercato lo ha accontentato

Il dollaro debole è stato il cruccio per mesi del presidente Donald Trump, che adesso può dirsi in parte accontentato: -10% da gennaio.
2 settimane fa
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Dollaro debole, Trump accontentato
Dollaro debole, Trump accontentato © Licenza Creative Commons

Il presidente americano Donald Trump voleva il dollaro debole per aumentare la competitività delle imprese e favorire così il taglio del deficit commerciale? Il mercato sembra averlo accontentato a pochi mesi dal reinsediamento alla Casa Bianca. Il biglietto verde perde la media del 10% contro le altre valute mondiali rispetto ai massimi di gennaio e scende ai minimi da due anni. A trarne vantaggio è l’euro, che guadagna altrettanto nello stesso lasso di tempo, portandosi ai massimi dall’invasione russa dell’Ucraina.

Caos dazi colpisce debito USA

Il caos dazi è stato alla base del dollaro debole di queste settimane. Gli investitori stanno aumentando le previsioni per una possibile recessione dell’economia americana. E fuggono dal mercato azionario e obbligazionario a stelle e strisce per scontare il taglio dei tassi di interesse e l’indebolimento valutario.

Una situazione che dovrebbe far piacere a Trump, ma che rischia di portargli più rogne che benefici.

Basti guardare al Treasury a 10 anni. Il suo rendimento è risalito al 4,47% mentre scriviamo contro il 2,55% offerto dal Bund di pari durata. Ne consegue che lo spread Treasury-Bund è lievitato sopra 190 punti base da meno di 150 pre-dazi. In pratica, il mercato sta chiedendo un premio extra dello 0,40% per acquistare titoli del debito americano al posto di quelli tedeschi rispetto a due settimane fa. E questo va nella direzione opposta a quella auspicata dal presidente.

Rischio inflazione per USA

Il dollaro debole, infatti, può portare a un qualche beneficio alla bilancia commerciale americana, rendendo le importazioni più costose e incentivando così i consumatori a comprare più Made in USA. Tuttavia, esso si traduce anche in un aumento dell’inflazione, quando già essa risulta sostare al di sopra del target del 2%.

Proprio le aspettative d’inflazione stanno surriscaldamento i rendimenti americani a lungo termine, rischiando di aumentare i costi di emissione del debito, anziché ridurli come vorrebbe il presidente.

Viceversa, un euro più forte sostiene la previsione per un taglio dei tassi da parte della Banca Centrale Europea anche al board di questo giovedì. L’inflazione nell’Eurozona dovrebbe continuare a scendere, complice il calo dei prezzi per le materie prime. Se è vero che il rafforzamento del cambio può colpire le nostre esportazioni, d’altra parte può sostenere la ripresa della domanda interna tramite tassi più bassi. L’esatto contrario di quanto avverrebbe nei prossimi mesi negli Stati Uniti.

Dollaro debole sostiene l’oro

E anche l’oro si sta giovando del dollaro più debole. Anzitutto, perché esiste una storica correlazione negativa tra il cambio e le quotazioni. Secondariamente, perché il mercato è a caccia di beni rifugio contro le tensioni internazionali scaturite dai dazi annunciati da Trump. Il metallo ha segnato nelle scorse ore un ennesimo record sopra 3.230 dollari l’oncia. In un certo senso, il segno della sfiducia verso la valuta di riserva mondiale, le cui prospettive a medio termine appaiono negative.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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