Se i rendimenti in tutto il mondo crollano, anche in Turchia non restano fermi. Certo, qui i livelli di partenza sono altissimi, ma almeno si stanno sgonfiando nelle ultime settimane. I bond a 2 anni a maggio erano arrivati a rendere il 25,65%, oggi stanno al 18,29%; i decennali sono passati nello stesso periodo dal 20,31% al 15,47%. In entrambi i casi, si sono riportati ai livelli del marzo scorso. E lo stesso ha fatto il cambio tra lira turca e dollaro, rafforzatosi del 9,5% rispetto a maggio, pur restando in calo di quasi il 5% quest’anno.
La convinzione si è consolidata con la pubblicazione del dato sull’inflazione a giugno, scesa al 15,72% dal 18,71 di maggio, ai minimi dal giugno dello scorso anno, quando si era attestata al 15,37%. Praticamente stabili i prezzi dei generi alimentari, saliti su base mensile di appena lo 0,03%, meno dello 0,08% del consensus. La banca centrale ha fissato i tassi d’interesse al 24% nel settembre scorso, quando l’inflazione galoppava e a ottobre superava il 25%. Adesso, però, pressioni politiche a parte, il costo del denaro inizia ad apparire elevato in rapporto alla dinamica dei prezzi, anche se la storia turca non dovrebbe indurci a sdegnare un periodo di alti tassi reali, considerando la propensione all’inflazione a doppia cifra di questa economia emergente.
Bond Turchia: rischio sovrano basso, è il cambio della lira a preoccupare
Clima politico interno più disteso
Entro la fine dell’anno, il ministro dell’Economia e genero del presidente Erdogan, Berat Albayrak, si attende che l’inflazione scenda a una cifra. Grazie al rafforzamento della lira, unitamente allo sgonfiamento delle quotazioni del petrolio dai 75 dollari a cui erano arrivate a maggio ai 65 medi di queste settimane, il processo di disinflazione in Turchia dovrebbe proseguire, aumentando i margini a disposizione del governatore Murat Cetinkaya per tagliare i tassi, andando incontro ai desiderata del governo.
Ad avere disteso gli animi è stato anche l’esito delle elezioni amministrative a Istanbul, ripetute il 23 giugno scorso, dopo il ricorso vinto dal partito di Erdogan, l’Akp, contro la vittoria del candidato dell’opposizione a fine marzo. Quest’ultimo ha rivinto con un margine di quasi 10 punti di distacco sull’avversario conservatore. Stavolta, però, il governo ha accettato il responso delle urne e questo atteggiamento ha fugato i dubbi tra gli investitori su possibili tensioni politiche nel caso di un nuovo scontro con le opposizioni. E che ciò abbia ridotto anche il rischio sovrano percepito lo dimostrerebbe anche il restringimento degli spread tra i quinquennali emessi da Ankara e quelli della Banca Europea per gli Investimenti, entrambi in lire turche: a metà maggio, i primi rendevano oltre 310 punti base in più, oggi solamente 75.
Bond Turchia, segnale “buy” dalla sconfitta di Erdogan a Istanbul?