L’estate 2020 sarà ricordata come quella nera per il turismo mondiale, con l’ONU ad avere stimato un crollo del fatturato di 320 miliardi di dollari nei primi 5 mesi dell’anno e una conseguente perdita di 100-120 milioni di posti di lavoro, il doppio dell’intera popolazione italiana. Le frontiere sono state riaperte a inizio luglio nella UE, pur con qualche eccezione nei confronti dei paesi ancora in piena emergenza Covid, tra cui Brasile e USA. L’Italia sta patendo i minori arrivi internazionali.
Turismo e viaggi compongono il 13% del prodotto interno lordo, qualcosa come oltre 230 miliardi di fatturato all’anno. In Germania si arriva a stento al 9%, mentre in Grecia queste voci incidono per ben il 20%. Si direbbe che piova sul bagnato. E così è. Eppure, l’Italia dimostra ancora una volta una capacità unica di auto-infliggersi le crisi. Nel bel mezzo di un trend internazionale sconfortante, a Roma non si trova di meglio che scatenare la caccia a questa o quella categoria per dipingere un quadro più allarmante di quanto sia nella realtà.
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L’esasperazione della crisi
Subito dopo Ferragosto sono state chiuse le discoteche, mentre da settimane è polemica sulla movida. Nel bersaglio di governo e stampa ci sono i giovani, rei di creare assembramenti e di divertirsi in barba alle più elementari regole anti-Covid. Che l’estate abbia fornito un’immagine strafottente, con tanti italiani a non mantenere le distanze e a non indossare la mascherina, è un dato di fatto. Che sia una caratteristica nostrana, no.
Non è il caso di dire “mal comune, mezzo gaudio”, perché le conseguenze negative della strafottenza collettiva le stanno pagando perlopiù gli altri paesi. In Francia, nell’ultima settimana i contagi sono cresciuti al ritmo di 3.700 al giorno, in Spagna di oltre 6.600 e in Germania di 1.350. In Italia, dove pure il numero dei positivi si sta impennando, siamo ancora sotto i 1.000 casi medi giornalieri. Rispetto alle altre mete principali vacanziere, quindi, dovremmo pubblicizzare ed esaltare la relativa sicurezza sanitaria in cui ci troviamo, mentre stiamo inviando al mondo l’immagine opposta, oltre che sconnessa dalla realtà: quella di un territorio in preda al panico e dove la gestione dell’emergenza sarebbe quasi fuori controllo.
I tedeschi mettono piede tipicamente in Italia nei mesi meno caldi della bella stagione, cioè in primavera fino a giugno e per poi tornare a settembre e ottobre. La prima parte degli arrivi ce la siamo giocata per condizioni oggettive, ma la seconda parte rischiamo di bruciarcela per colpe prettamente nostre, offrendo una cattiva immagine di caos e insicurezza all’estero. Del resto, non sappiamo ancora quando e se riapriranno le scuole a settembre, quando agosto è praticamente agli sgoccioli. Siamo campioni mondiali di harakiri, altro che Giappone.
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