Essere costretti a lavorare su turni stancanti e scomodi può essere considerato mobbing? Ci ha scritto un lettore, infermerie, lamentandosi di non vedersi più riconoscere i turni promessi ad inizio contratto verbalmente tanto da poter essere costretto a dare le dimissioni per non trascurare il padre malato. Se il lavoratore riesce a dimostrare che la turnazione non è dettata da esigenze aziendali ma dalla malizia del datore e dalla evidente volontà di creare un problema e rendere la vita lavorativa difficile, si configura mobbing?
Turni di lavoro estenuanti: se non è mobbing non restano comunque impuniti
In merito a questa possibilità dobbiamo dare al nostro lettore, e a quanti si trovano nella sua situazione lavorativa, una notizia cattiva ed una buona.
La prima è che l’intento vessatorio del mobbing, alla base della denuncia, è difficile da dimostrare in queste circostanze. La seconda è che non significa che tale atteggiamento debba perpetrarsi restando impunito. La giurisprudenza ha riconosciuto un ibrido chiamato
straining. Letteralmente si potrebbe tradurre come “forzatura” o “sforzo” per rendere l’idea della condotta che configura.
Di fatto è un mobbing più lieve e più facile da dimostrare: non serve infatti la continuità delle azioni vessatorie ed è sufficiente anche un episodio unico e isolato. Attenzione: non basta qualsiasi forma di stress o affaticamento da lavoro (quello fisico ad esempio o quello connaturale ad una scadenza o ad una responsabilità) per parlare di straining. L’obiettivo è sempre quello di spingere il dipendente a dimettersi. Deve trattarsi di uno stress superiore rispetto a quello connaturato alla natura stessa del lavoro e alle normali attività interne. Se viene riconosciuto dai giudici che il lavoratore subisce straining, scatta il risarcimento del danno all’integrità psico-fisica del lavoratore.
Nel caso che ci ha raccontato il nostro lettore è più probabile che i giudici riconoscano la fattispecie di straining piuttosto che quella di mobbing.