Greta all’Europarlamento; Greta al Senato e poi alla Camera di Roma; Greta dal Papa; Greta a Westminster. E’ ufficiale: l’Occidente è in delirio! La ragazzina svedese ha conquistato le prime pagine di tutti i quotidiani del mondo per la causa ambientalista che ostinatamente porta avanti dall’estate scorsa, quando ogni venerdì si presentava dinnanzi alla sede del Riksdag a Stoccolma, in piena campagna elettorale, con un cartello recante la scritta eloquente “Sciopero della scuola per i cambiamenti climatici”. Ha soli 16 anni ed è affetta dalla sindrome di Asperger, a causa della quale da anni ha sviluppato una vera ossessione per lo studio dell’ambiente, secondo quanto dichiarato dalla stessa madre, la cantante Malena Ernman.
Dietro Greta Thunberg gli ambientalisti ipocriti con il SUV
Il punto non è capire chi sia Greta e se dietro vi sia una qualche lobby che ne starebbe sfruttando l’immagine per un qualche interesse particolare. Anzi, francamente non sembra affatto interessante concentrarci su questo aspetto, perché anche ammesso che sia così – ma a quel punto, dovremmo capire quali sarebbero gli interessi economici e/o politici in gioco – la vera domanda risulta essere un’altra: perché Greta attira tante attenzioni tra i media? Si badi bene, parliamo di media e non della cosiddetta opinione pubblica mondiale, perché non risulta che la ragazzina svedese sia seriamente oggetto di discussione ai bar, ai pub o durante l’ora di cena in famiglia. Semmai, in molti ne parlano sui social – è vero – più per attaccarla per la sua patologia o per ridicolizzarne le affermazioni.
L’ossessione mediatica per Greta
Resta il fatto che da settimane non passa giorno che non vediamo Greta accolta da qualche alto rappresentante istituzionale o, addirittura, dal Santo Padre. Il che sconvolge, perché la sedicenne non ha portato all’attenzione pubblica del pianeta alcun tema originale. E’ da decenni che parliamo quotidianamente di ambiente, riscaldamento globale, scioglimento dei ghiacciai, che profetizziamo ogni sciagura possibile da qui a tot anni.
Che Greta sia la probabile proiezione massmediatica di chi è alla continua ricerca ossessiva di spunti ideologici per portare avanti battaglie impopolari lo si capisce spegnendo la TV e staccandosi dai social e andando in giro per strada, dove una delle principali preoccupazioni degli italiani di questi tempi è quella maledetta benzina salita a quasi 1,70 euro al litro, a causa degli accadimenti sul mercato petrolifero mondiale. I “gilet gialli”, con cui moltissimi in Francia e all’estero hanno solidarizzato, altro non sono che l’espressione di una rabbia popolare diffusa contro il caro carburante, che il presidente Emmanuel Macron avrebbe voluto stangare ulteriormente proprio per contribuire alla lotta contro l’inquinamento, finendo per alimentare una protesta apparentemente incessante.
Né Greta, né Macron rianimeranno Zingaretti
Delle due l’una: o siamo tutti Greta o siamo diventati tutti “gretini”. O vogliamo la benzina e, più in generale, beni e servizi a basso costo, o siamo disposti a mettere mano al portafoglio per pagare il disinquinamento terrestre. Liberi di scegliere, purché non ci si lamenti a posteriori. L’ambientalismo esasperato, di cui Greta è semplicemente un’immagine involontariamente sfruttata da circoli mediatici ben più grandi di lei, mostra solo il lato A della storia, nascondendo opportunamente il lato B. Il primo consiste nel respirare un’aria più pulita, nel bere acqua più salubre, (forse) nell’evitare che la temperatura della Terra salga ancora e nel rispettare la Natura; il secondo presenta il conto da pagare: migliaia di miliardi di costi da sostenere a carico di imprese, consumatori e contribuenti, ossia prezzi più alti per beni e servizi, aumento delle tasse, distruzioni di posti di lavoro e crescita ferma o più lenta.
L’ambientalismo costa e minaccia i nostri stili di vita
Siamo disposti ad accettare questo prezzo per seguire i Greta di turno? Se sì, non dovremmo lamentarci se un giorno con 10 euro riuscissimo a mettere nel serbatoio solo 3 o 4 litri di carburante al massimo; se un’auto ci costasse non meno di 30-40.000 euro; se andare in vacanza diventasse roba da ricchi, in quanto un volo Roma-Londra lo si prenderebbe a tariffe proibitive; se tutte le merci ci costassero di più per i maggiori oneri di trasporto e di produzione; se, infine, non potremmo permetterci di comprare più dello stretto necessario, perché a lavorare in casa sarebbe tutt’al più una persona. Catastrofismo anti-ambientalista? No, almeno per un lungo periodo di transizione. Del resto, tutti nei decenni passati eravamo favorevoli ad aprire i mercati ai paesi più poveri per spingerli a svilupparsi, ma quando in molti abbiamo capito che ciò avrebbe finito per minacciare i nostri standard di vista ci siamo riscoperti protezionisti e “no global”.
Questa è la verità banale dietro a Greta: tutti invochiamo cambiamenti radicali senza comprenderne la portata per le nostre abitudini di consumo e gli stili di vita. Tutti pensiamo che la difesa dell’ambiente sia a costo zero, che le resistenze avvengano dai lobbisti brutti e cattivi e dai politici loro compari compiacenti, i quali godrebbero nel vedere inquinate aria e acque, per quanto siano malevoli e ignoranti. Quando, poi, qualche timida misura viene varata su pressione dei “gretini” di turno e sperimentiamo sulla nostra pelle i costi delle nostre idealità naif, ecco che la protesta si leva contro il politico “imbecille” e sciagurato, si chiami Macron o in qualsiasi altro modo.
Trump sotto attacco sull’Accordo di Parigi, ma l’Europa è ipocrita