Un Bonus per chi resta al lavoro fino a 71 anni? Sulle pensioni esiste già, ecco cosa si ottiene

Restare al lavoro fino a 71 anni porta in dote al lavoratore un bonus in termini di stipendio o di importo della pensione?
11 mesi fa
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pensione inps
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Le pensioni degli italiani si allontanano sempre di più. Il trend ormai è chiaro e l’ultima Legge di Bilancio non ha fatto altro che confermarlo. Se pensiamo che anche una misura di accompagnamento alla pensione come l’APE sociale, che è più assistenziale che previdenziale, è stata portata a 63 anni e 5 mesi (nel 2023 era a 63 anni), si denota la via intrapresa dai legislatori per la previdenza sociale futura.

Si cercano soluzioni per far rimanere quanto più a lungo possibile le persone a lavorare ed a rimandare la quiescenza.

Un indizio in questo senso può essere considerata la riproposizione del Bonus Maroni anche nel 2024 di fianco alla nuova quota 103. Questa misura poi, diventando contributiva, finirà con il non piacere molto a chi matura i requisiti, a tal punto che per molti restare al lavoro sarà conveniente due volte.

Partendo dall’idea di tenere in servizio il personale sanitario più a lungo, in questo caso per questioni di carenza di personale, ecco che oggi trapela in molti nostri lettori la domanda riguardo al bonus per chi resta al lavoro fino a 71 anni.

Una nuova domanda giunta in redazione

“Salve, sono un lavoratore che viaggia spedito verso i 67 anni di età. A dicembre 2024 compio questa età e dovrei poter andare in pensione con più o meno 30 anni di contributi versati. Oggi ho letto diversi quotidiani che parlavano di Bonus per restare al lavoro fino a 71 anni di età. Volevo alcune delucidazioni in merito, perché faccio un lavoro che non mi dispiace e ho ancora la forza di lavorare. Se c’è da ottenere qualcosa in più perché dovrei andare per forza in pensione? Mi spiegate di cosa tratta questo nuovo Bonus?”

Un Bonus per chi resta al lavoro fino a 71 anni? Sulle pensioni esiste già, ecco cosa si ottiene

A dire il vero questo fantomatico bonus per restare a lavorare fino a 71 anni di età non esiste ed è soltanto frutto di una proposta fatta da Alberto Brambilla, attuale Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali.

Si tratta di uno dei più noti esperti di previdenza del Paese. E si dice che fu una delle menti del programma elettorale della Lega prima del successo che il Carroccio ebbe alle Politiche che portarono al governo giallo-verde con il Movimento 5 Stelle e Giuseppe Conte Premier.

Durante il classico appuntamento di inizio anno con il Rapporto sul Bilancio Previdenziale Italiano del Centro Studi Itinerari Previdenziali è uscita fuori la proposta di pensare a un incentivo per chi resta al lavoro fino a 71 anni.

Sulle pensioni non esiste bonus a 71 anni, anche se il lavoratore ci guadagnerebbe parecchio

Tutto nasce dal fatto che anche se oggi il sistema, secondo lo studio è sostenibile, presto rischia di non essere più così. Perché i pensionati diventano sempre di più ed i lavoratori sempre di meno. E un sistema che si regge sul fatto che i lavoratori coi loro contributi paghino le pensioni a chi è in quiescenza, non può andare avanti.

Ecco che insieme a misure che prevedono età di uscita sempre maggiori, come per esempio è stato fatto con la già citata Ape sociale in premessa, servono disincentivi a lasciare il lavoro. Ripetiamo, non esiste un bonus per chi resta al lavoro fino alla veneranda età di 71 anni. Ma qualcosa l’interessato la guadagna comunque, anche se non nell’immediato.

Il bonus contributivo ma solo per la quota 103

Quello che continuano a chiamare bonus Maroni e quindi il bonus contributivo per chi resta al lavoro nonostante ha raggiunto i requisiti per la quota 103, è un incentivo a restare al lavoro. Infatti la quota contributiva a carico del lavoratore resta in busta paga generando uno stipendio più alto in misura pari al 9,19% (aliquota contributiva a carico del dipendente).

E lo fa per tutti gli anni di lavoro successivi al completamento dei 41 anni di contributi e dei 62 anni di età necessari per la quota 103. Questo è l’unico bonus di questo genere, che il governo ha deciso di confermare insieme alla quota 103 per il 2024. Quindi, al momento restare al lavoro fino a 71 anni non genera alcun vantaggio in termini di stipendio, se questo è ciò che voleva sottolineare il nostro lettore. Ma restare al lavoro fino a 71 anni può produrre effetti benefici per la pensione futura del pensionato.

Da un lato si continuerebbe ad accumulare contribuzione. E in un sistema previdenziale contributivo, più soldi si destinano al montante contributivo più si prende di pensione in futuro. Inoltre la differenza di calcolo della pensione a 71 anni rispetto ai 67 o addirittura ai 62 della quota 103 è enorme.

I coefficienti di trasformazione

Chi anziché uscire dal lavoro a 67 anni lo fa a 71 gode di un notevole doppio vantaggio. Lavorare fino a 71 anni significa accumulare altri 4 anni di contributi. E se in genere un anno di contributi vale in media tra i 30 ed i 40 euro di pensione (un calcolo fatto per grandi linee da non tenere in considerazione sempre perché molto dipende da lavoratore a lavoratore), è evidente il guadagno in termini di pensionamento.

Ma il montante contributivo maturato e rivalutato al tasso di inflazione, deve essere moltiplicato per i coefficienti di trasformazione. E questi salgono in maniera proporzionale al salire dell’età di uscita per la pensione. Significa che più alta è l’età del lavoratore quando va in pensione, meglio è moltiplicato il montante contributivo rivalutato per generare la rendita mensile.

La guida al calcolo della pensione contributiva coi coefficienti di trasformazione

Per calcolare quanto si prenderà di pensione lorda mensile infatti basta calcolare il montante contributivo complessivo, rivalutarlo al tasso di inflazione e moltiplicarlo per il coefficiente di trasformazione che varia in base all’età anagrafica. Il risultato andrà diviso per 13 e si otterrà la pensione mensile spettante.

I coefficienti validi nel 2024 sono:

  • 57 anni di età coefficiente 4,186%;
  • 58 anni di età coefficiente 4,289%;
  • 59 anni di età coefficiente 4,399%;
  • 60 anni di età coefficiente 4,515%;
  • 61 anni di età coefficiente 4,639%;
  • 62 anni di età coefficiente 4,770%;
  • 63 anni di età coefficiente 4,910%;
  • 64 anni di età coefficiente 5,060%;
  • 65 anni di età coefficiente 5,220%;
  • 66 anni di età coefficiente 5,391%;
  • 67 anni di età coefficiente 5,575%;
  • 68 anni di età coefficiente 5,772%;
  • 69 anni di età coefficiente 5,985%;
  • 70 anni di età coefficiente 6,215%;
  • 71 anni di età coefficiente 6,466%.

Ipotizzando un montante da 300.000 euro, evidente che una pensione a 62 anni sia nettamente più bassa di una a 67 anni ed ancora più bassa di una a 71 anni. A 62 anni questo montante genera una pensione da 14.310 euro annui e 1.100,76 euro al mese (300.000 moltiplicato 4,770%). A 67 anni invece genera una pensione di 16.725 euro annui e 1.286,54 euro mensili 300.000 moltiplicato 5,575%).

Invece a 71 anni si arriverebbe a 19.398 euro annui e 1.492,15 euro mensili (300.000 moltiplicato 6,466). Non sarà un bonus in senso stretto, ma è evidente che a 71 anni si ottiene un vantaggio non indifferente sulla pensione futura.

 

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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