Domenica scorsa, un colpo di stato in Guinea ha posto fine alla presidenza di Alpha Conde, 83 anni. A ordirlo è stato il comandante delle forze speciali, Mamady Doumbouya, che di anni ne ha intorno alla metà. Un episodio quasi marginale nella geopolitica mondiale, ma che ha provocato il boom delle quotazioni dell’alluminio. Queste sono salite fino a un massimo di 2.775 dollari per tonnellate nella giornata di lunedì, ai massimi da maggio 2011.
Perché un golpe in un piccolo stato africano dovrebbe così tanto impattare sull’alluminio? Il fatto è che lo stato dell’Africa occidentale è diventato negli ultimi anni tra i principali produttori mondiali di bauxite, un elemento utilizzato per la produzione del metallo.
In buona sostanza, la Guinea è diventata responsabile di circa un quarto della produzione mondiale di bauxite. E dire che fino al 2015 le sue estrazioni fossero zero. Dal 2016 si assiste a una rapida impennata, non a caso coincidente con il boom del PIL nel periodo considerato. E, tuttavia, l’economia domestica resta molto povera, con un PIL pro-capite sotto i 900 dollari. Resta da chiedersi cosa abbia comportato l’esplosione dei prezzi dell’alluminio.
Alluminio e “guerra commerciale” con la Cina?
Il golpe ha reso la situazione politica interna molto confusa. I militari che hanno deposto il presidente, al contempo hanno invitato i suoi ministri a un incontro nella giornata di lunedì. Domenica, però, nella capitale Conakry si erano udite diverse raffiche di mitra. Il mercato teme che le esportazioni di bauxite possano essere anche solo temporaneamente interrotte. Se così fosse, quasi la metà delle importazioni in Cina svanirebbe in un solo colpo. E la carenza di alluminio si sommerebbe a quella dei chip, che in questi mesi sta minacciando diverse industrie in tutto il pianeta.
Difficile, però, che i golpisti fermino le esportazioni di bauxite. Queste valgono ormai la metà del totale nel paese e incidono per quasi un quarto del PIL. La Cina rappresenta praticamente l’unico mercato di sbocco di questa particolare materia prima. Tuttavia, il profilo del comandante Doumbouya merita una riflessione. Ufficiale della legione straniera francese, moglie europea, con corsi di addestramento alle spalle in Israele, Cipro e Regno Unito, nonché con missioni all’estero per le Nazioni Unite all’attivo, tra cui in Afghanistan, tutto possiamo affermare, fuorché si tratti di un personaggio senza agganci internazionali.
Viene da chiedersi, quindi, se la deposizione dell’anziano presidente, a capo di un regime sanguinario, sia stata una manovra solo interna o se qualche cancelleria europea non abbia almeno dato la sua benedizione all’operazione. E chissà se l’idea di mettere le mani sul bauxite non abbia inciso sull’eventuale appoggio, non fosse altro per ridurre lo strapotere che la Cina rischia di possedere sull’approvvigionamento delle materie prime. Potrebbe essere stata una prima operazione geopolitica dell’Occidente in funzione anti-cinese in Africa nell’era post-Covid.