Battuta d’arresto sulla strada per la riforma pensioni. Il governo ha rinviato il secondo incontro con le parti sociali previsto per lo scorso 8 febbraio a data ancora da fissare. “Motivi istituzionali”, si apprende da una nota di Palazzo Chigi, ma non ci crede nessuno.
La realtà è un’altra. L’Inps ha messo nuovamente in preallarme l’esecutivo sulle pensioni. Un segnale che attraversa, peraltro, tutta l’Europa che invecchia partendo dalla Francia e dalla Germania per arrivare anche in Italia dove si cerca da anni un modo per scavalcare le dure regole Fornero imposte 11 anni fa.
Un pensionato ogni lavoratore entro il 2050
A raccomandare al governo prudenza è il presidente dell’Inps Pasquale Tridico. In una breve nota avverte che “il quadro da qui al 2029 non è positivo”. Il rapporto fra lavoratori attivi e pensionati si sta deteriorando minacciando la tenuta dei conti dell’Inps, già in precario equilibrio. Già quest’anno ci sarà un buco da 10 miliardi nei conti Inps.
E tutto parte dal calo demografico e dall’impoverimento del Paese che invecchia sempre di più. Il rapporto fra lavoratori e pensionati cala a 1,3 e arriverà a 1 entro il 2050. In Italia ci sono 23 milioni di lavoratori che sostengono 16 milioni di pensionati su una popolazione di 60 milioni. Numeri che la dicono tutta sulle difficoltà a pagare le pensioni e sulla tenuta dei conti Inps nel lungo periodo. A ciò si aggiunge, dice Tridico, la:
“criticità nella gestione del pubblico impiego e per gli stipendi erosi dall’inflazione”.
Secondo i dati Inps dello scorso anno, quasi il 40% dei pensionati percepisce un reddito inferiore ai 12 mila euro lordi annui. Ne deriva anche una sorta di allarme sulla sostenibilità del sistema gestito dall’Inps, che nel 2029 potrebbe ritrovarsi con un patrimonio in negativo per 92 miliardi.
Le rendite anticipate costano troppo
Dai dati Inps riferiti a fine 2021 emerge che i trattamenti previdenziali assorbono il 92% della spesa, mentre quelli assistenziali (prestazioni agli invalidi civili e le pensioni e gli assegni sociali) il restante 8%.
Nel complesso il costo per prestazioni nel 2021 ha raggiunto i 312 miliardi di euro (il 16,2% del Pil). La voce che incide maggiormente sulle uscite è quella delle pensioni anticipate (il 56% del totale), seguita dalle pensioni di vecchiaia (il 18%) e dalle pensioni ai superstiti (14%). Le prestazioni agli invalidi civili rappresentano il 7% del totale e le altre due voci (pensioni di invalidità e assegni sociali), rispettivamente, il 4% e il 2%.
In questo contesto, il governo deve necessariamente evitare che la spesa per le pensioni cresca ulteriormente. La tanto ambita Quota 41, quindi, rischia di non vedere mai la luce se non con i dovuti accorgimenti per chi decide di lasciare il lavoro in anticipo (ricalcolo contributivo?).
A confermare le parole di Tridico interviene anche Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali e massimo esperto di pensioni il quale ravvisa un problema di sostenibilità finanziaria.
“A oggi – dice Brambilla – il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 10-15 anni, quando le ultime frange dei baby boomer si saranno pensionate”:
Tuttavia, affinché si mantenga questo delicato equilibrio, è indispensabile intervenire in maniera stabile e duratura sul sistema, cioè eliminando le pensioni anticipate.