L’Italia ha affossato la riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità nato con la crisi dei debiti sovrani del decennio passato e rimasto inutilizzato. La Camera ha votato contro la ratifica, con Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 Stelle a respingerla, PD, Azione e Italia Viva ad appoggiarla e Forza Italia ad astenersi. Palazzo Chigi ha emesso un comunicato soft sul tema, rimarcando la necessità di rivedere lo strumento, quasi segnalando l’apertura al dialogo su una nuova riforma.
Riforma Mes, cosa sarebbe cambiato
La riforma del Mes era stata approvata dai capi di stato e di governo a fine 2020. Essa prevedeva l’introduzione di un Fondo di risoluzione bancaria alimentato progressivamente dai versamenti degli istituti fino all’1% dei depositi. Si stima che a regime sarebbe salito a 55 miliardi di euro. Questo denaro sarebbe servito per aiutare una qualche banca in difficoltà nell’Area Euro.
La parte più contestata della riforma, tuttavia, riguardava l’accesso ai prestiti da parte dei governi in caso di necessità. Esso può avvenire solo dopo una previa analisi sulla sostenibilità del debito pubblico e solo se il paese richiedente soddisfacesse rigidi criteri di bilancio e macroeconomici, al punto che attualmente nessun paese avrebbe i requisiti, neppure la solida Germania. In cambio, il paese richiedente dovrebbe emettere titoli del debito della durata superiore ai 12 mesi con CACs più flessibili di quelle attualmente previste. In buona sostanza, il processo di rinegoziazione dei debiti verrebbe formalmente snellito con un’unica votazione utile da parte dei creditori.
Questa riforma del Mes viene considerata complessivamente lesiva degli interessi italiani dagli ambienti della maggioranza, ad eccezione di Forza Italia. Perché? Non serve a proteggere il debito per il caso di crisi fiscale, mentre c’è il pericolo che il mercato la recepisca ostile agli obbligazionisti e pretenda rendimenti ancora più alti sui titoli di stato italiani, già percepiti relativamente più rischiosi.
Nuove trattative dopo elezioni europee?
E adesso? Poiché la riforma del Mes era una necessità avvertita dai governi europei, probabile che che se ne riparli a partire dal prossimo anno. Ma un accordo formalmente sarebbe siglato solo dopo le elezioni europee di giugno, che legittimeranno la nuova Commissione e il prossimo Europarlamento. Anche perché tutti i governi saranno impegnati nella campagna elettorale e il Mes è un argomento incomprensibile per i cittadini e, soprattutto, non porta voti.
Il problema delle eventuali future trattative risiederà ancora una volta nel rendere il dibattito altamente tecnocratico, quando esso sarebbe essenzialmente un discorso politico. Il Mes è un ente nato con l’obiettivo di sostenere i paesi in difficoltà per evitarne un rovinoso crac finanziario sui mercati. A tutti gli effetti è il nostro piccolo Fondo Monetario. Con la differenza che quest’ultimo eroga costantemente aiuti in cambio di riforme, mentre il Mes richiede preliminarmente una serie di requisiti che lo rendono uno strumento inutilizzabile e, pertanto, di nessuna utilità.
Manca fiducia tra stati europei
Le criticità del Mes sono le stesse di sempre della governance europea. I paesi non si fidano l’uno dell’altro e costellano di infinite condizioni qualsiasi accordo siglato ufficialmente per rafforzare la loro credibilità e robustezza fiscale, bancaria e finanziaria. Questo sta finendo per indebolire il Vecchio Continente e a renderlo marginale nei processi decisionali mondiali. I fatti hanno altresì dimostrato che nessun paese possa ergersi a modello e mettersi in cattedra col dito puntato verso gli altri. La stessa Germania è stata sorpresa a barare sui conti pubblici; e non per noccioline: 869 miliardi di euro di spese conteggiate fuori bilancio. Roba che se lo avesse fatto un paese del Sud Europa, sarebbe scoppiato il finimondo.
Sbagliata è la narrazione sul “no” dell’Italia alla riforma del Mes da parte di chi solleva come critica principale il fatto di essere stato l’unico paese europeo ad avere votato contro.