Come fare per prendere una pensione più alta è una delle cose che tutti i lavoratori studiano nel momento dell’approssimarsi della data di quiescenza. Per il lavoro svolto fino al 1995 (o al 2011 se presenti più di 18 anni al 31 dicembre 1995) si usa il metodo retributivo. Significa che la pensione è calcolata in base alle ultime retribuzioni o redditi. Per i periodi successivi si usa il sistema contributivo, con le pensioni calcolata in base all’ammontare dei contributi versati durante la carriera.
Se per esempio un lavoratore dipendente versa il 33% dello stipendio lordo utile ai fini pensionistici ogni mese.
“Buonasera, mi chiamo Lucia e vorrei proporvi una domanda. Ho letto sul sito dell’INPS che noi lavoratrici possiamo uscire dal lavoro a 66 anni e non a 67. Eppure credevo che uomini e donne uscissero tutti a 67 anni ormai da anni. Questa cosa mi è nuova. Mi sembra di aver capito che tutto dipende dal numero di figli avuti. Io ne ho avuti 3. E dal momento che a maggio compio 66 anni e sono senza lavoro dal 2022, grazie ai miei 20 anni di contributi possono sfruttare questa possibilità?”
Le dinamiche delle pensioni in Italia e le cose da conoscere assolutamente
Molte possibilità che l’INPS e l’intero sistema pensioni italiano offre ai contribuenti sono poco conosciute e possono dare luogo a dubbi, perplessità ed incertezze. Per esempio, la maggiorazione a cui hanno diritto le donne per la pensione di vecchiaia non è molto conosciuta. Infatti è vero che oggi la pensione di vecchiaia non distingue tra uomini e donne.
Oggi non esistono distinzioni di genere e la pensione di vecchiaia ordinaria ormai si centra con 67 anni di età e 20 anni di contributi per la generalità dei lavoratori. Ma anche se non si tratta di contribuzione figurativa aggiuntiva tipica delle maggiorazioni contributive, uno strumento molto utile è quello che consente alle donne che nella loro vita hanno avuto dei figli, di accedere alla pensione di vecchiaia a 66 anni. Sempre fermo restando il tetto minimo dei 20 anni di contributi versati.
Come funziona la maggiorazione per le lavoratrici madri
Il punto cardine era e resta il primo contributo versato durante la carriera. Infatti la misura non si estende all’intera platea delle lavoratrici che hanno avuto figli. Bisogna aver iniziato a lavorare dopo il 1995, cioè non ci devono essere versamenti in epoca retributiva. La maggiorazione nello specifico è pari a 4 mesi di sconto sull’età pensionabile dei 67 anni, per ogni figlio avuto fino a un massimo di 12 mesi. E pertanto, con 3 figli avuti (o più), dai 67 anni di età si passa a 66 anni. In questo modo alle lavoratrici l’INPS riserva un trattamento di favore per il semplice fatto di aver avuto figli.
Ricapitolando, con 66 anni di età e 20 anni di contributi, la lavoratrice che ha avuto 3 o più figli e ha iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996 o successivamente, ha diritto alla pensione di vecchiaia. Usciranno a 66 anni e 8 mesi le donne con un solo figlio e a 66 anni e 4 mesi le donne con due figli.
Ma si può optare per una pensione più alta
La particolarità di questa maggiorazione, oltre ad essere quella che prevede una esplicita richiesta da parte delle interessate, è quella che può essere alternata come opzione, da un altro vantaggio.
Nel dettaglio e testualmente l’Istituto nella scheda relativa alla pensione di vecchiaia ordinaria sottolinea che “le lavoratrici madri, la cui pensione è liquidata col sistema contributivo, beneficiano di un’anticipazione del requisito anagrafico di quattro mesi per ogni figlio, nel limite massimo di 12 mesi. Oppure possono chiedere l’applicazione di un coefficiente di trasformazione relativo all’età anagrafica posseduta alla data di decorrenza della pensione, maggiorata di un anno, in caso di uno o due figli, di due anni in caso di tre o più figli”.
Esempi pratici di calcolo della pensione con maggiorazione dovuta ai figli
Come tutti sanno le pensioni contributive sono liquidate in base all’ammontare dei contributi versati. Si chiama montante contributivo questo accumulo. Naturalmente tutti i versamenti vengono rivalutati anno dopo anno. E quando è il momento di andare in pensione, l’INPS trasforma il risultato che esce fuori dalla rivalutazione, in pensione. Moltiplicando il montante con i coefficienti prima citati. E fa molta differenza l’età di uscita. Infatti i coefficienti sono tanto più favorevoli al pensionato quanto più in età avanzata lascia il lavoro. A 67 il coefficiente è 5,72%, a 68 anni è 5,93% ed a 69 è 6,15%.
Ipotizzando per assurdo che una lavoratrice abbia avuto una carriera retributiva costante nel 20 anni di carriera, con retribuzione lorda utile ai fini pensionistici da 25.000 euro, il calcolo è semplice. E permette di capire cosa la lavoratrice guadagna non sfruttando la maggiorazione come anticipo del trattamento pensionistico, ma come veicolo di incremento del trattamento.
La guida alla convenienza della prestazione
Con 165.000 euro di montante e uscita classica a 67 anni (per gli uomini o per le lavoratici prive di figli), la pensione con 20 anni di contributi sarebbe pari a 9.438 euro, cioè 726 euro al mese di trattamento lordo. Godendo del surplus per aver avuto uno o due figli, cioè con il coefficiente 5,93%, la pensione diventerebbe pari a 9.785 euro, cioè 753 euro al mese. E diventerebbe pari a 781 euro al mese e quindi a 10.148 euro annui, in presenza di 3 o più figli. Gli esempi ed i calcoli, ripetiamo, partono da un semplicistico esperimento su una carriera piatta e costante, assai improbabile da trovare. Ma rende bene l’idea di cosa si guadagna di pensione semplicemente cambiando coefficiente di trasformazione.