Sul Corriere della Sera, per la rubrica 100 giorni in Europa, è stato pubblicato di recente un interessante reportage sulla Danimarca dal titolo “Danimarca, il Paese dove ti pagano per studiare“, a cura di Orsola Riva. In Italia c’è il reddito di cittadinanza, in Danimarca il SU, acronimo che indica il Statens Uddannelsesstøtte, un sussidio che il governo concede a tutti gli studenti universitari danesi e corrispondente a poco più di 825 euro al mese, per una spesa annuale di 3,3 miliardi di euro, pari all’1 per cento del Pil della Danimarca.
Perché il SU funziona
Il sussidio per gli studenti universitari in Danimarca funziona perché non soltanto permette ai ragazzi di studiare e laurearsi pur non avendo una famiglia benestante alle spalle ma consente loro l’indipendenza dai loro genitori fin dall’età di 18-19 anni. Contemporaneamente alla ricezione del sussidio da parte dello Stato infatti, gli studenti decidono di lavorare part-time per potersi permettere l’affitto salato in una città come Copenaghen o per mettere da parte qualche soldo. In più, bisogna aggiungere che sugli 825 euro offerti dallo Stato a tutti gli studenti (indipendentemente dal reddito familiare) vanno pagate le tasse. Il quadro complessivo vede dunque per protagonista un welfare finanziato dalle imposte pagate sui redditi stessi degli studenti universitari. Lo stesso Henrik Wegener, rettore dell’Università di Copenaghen, ha affermato che senza l’aiuto del welfare danese non sarebbe mai riuscito a laurearsi.
Il SU visto dagli studenti comunitari e stranieri
Gli studenti comunitari, provenienti cioè da un Paese membro dell’Unione Europea, hanno diritto a ricevere lo stesso sussidio offerto agli studenti danesi, a patto che lavorino dalle 10 alle 12 ore settimanali. Nell’approfondimento del Corriere della Sera si possono leggere alcune dichiarazioni di studenti comunitari e stranieri. “Il welfare danese non è un sistema assistenziale ma un modello economico che funziona. I giovani sono spinti a uscire prima di casa, sono più autonomi, capaci di trovarsi un lavoro e iniziare presto a pagare le tasse”, il pensiero di Julian Lo Curlo (studente italo argentino). Queste invece le parole di Sinem Gurbuz: “Io sono turca e, in quanto cittadina non comunitaria, devo pagare per l’università. Ma qui è facile trovare un impiego con cui mantenersi. Lavoro part-time in un bar e mi diverto pure. In Turchia sarebbe impossibile”.
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