Rischi per Italia da stretta monetaria
La disoccupazione resta alta e oscillante intorno all’11,5%, tasso a cui si aggirerà con ogni probabilità anche nel corso di quest’anno, scendendo di poco nel prossimo biennio. A fronte di ciò, i conti pubblici sono lontani dall’essere stati risanati, con un rapporto debito/pil esploso al 133%, una media di oltre 40 punti al di sopra dell’Eurozona, mentre il disavanzo fiscale non ha compiuto progressi tangibili, nonostante i livelli azzerati dei tassi e il rifinanziamento del debito a costi quasi nulli.
Il rialzo dei tassi e ancor prima la fine degli acquisti dei bond da parte della BCE, oltre che un sempre più probabile apprezzamento dell’euro contro le altre valute e magari persino un aumento delle quotazioni petrolifere avrebbero effetti negativi sia sulla nostra capacità di esportare, sia sulla domanda interna già debole, colpendo consumi e investimenti. La bassa crescita rischia di azzerarsi e, addirittura, di trasformarsi in recessione, mentre il governo dovrebbe trovare nuove risorse a copertura dei più alti rendimenti sovrani all’atto dell’emissione del nuovo debito. (Leggi anche: Come la politica ha sprecato l’ennesima occasione)
Spettro nuova crisi del debito
Già dalla fine di quest’anno assisteremo a un tentativo drammatico di disinnescare 20 miliardi di euro in clausole di salvaguardia, che scattando farebbe esplodere l’IVA, gravando sui consumi. Le alternative restano un taglio alla spesa pubblica di uguale misura, un aumento di altre imposte o entrambe le cose. Comunque vada, saranno dolori. In un clima del genere, la fiducia dei mercati verso l’Italia si ridurrà ulteriormente e venendo meno lo stordimento degli stimoli monetari, i capitali torneranno a defluire in abbondanza, come nei mesi bui della crisi dello spread.
Nel 2011-’12, però, la BCE disponeva di un raggio di azione praticamente ancora intatto e l’Italia, pur reduce da quasi un ventennio di stagnazione, non era ancora così sfinita sul piano psicologico, oltre che economico, come lo è oggi.