Vaccino Covid, chi non lo fa è sospeso dal lavoro: la prima sentenza in Italia

Vaccino Covid, chi non lo fa può essere sospeso dal lavoro: cosa ha stabilito la sentenza del Tribunale di Belluno.
4 anni fa
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Mentre si discute ancora di scudo penale e obbligatorietà del vaccino Covid per i lavoratori più a rischio, si fa sempre più strada l’ipotesi di un intervento da parte del Governo. L’obietto è quello di fare chiarezza e fornire una disciplina chiara e precisa, che diventi un punto di riferimento per dipendenti e datori di lavoro. Intanto però, mentre si è in attesa dell’annunciato decreto, la Giurisprudenza ha iniziato a delineare le prime possibili interpretazioni. Così il Tribunale di Belluno, con una sentenza senza precedenti (la prima in Italia in tal senso), si è espresso confermando – in quanto legittima – la sospensione del lavoro in caso di rifiuto di vaccino Covid.

Il ricorso

Il Tribunale di Belluno, rifacendosi alla norma contenuta nell’art. 2087 del codice civile, ha ribadito il principio secondo cui: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Per questo motivo, sulla base di questo presupposto di legge, il giudice ha respinto il ricorso presentato dagli operatori sanitari che – in questo caso specifico – si era dichiarati contrari al ricevere il trattamento anti Covid in nome della libertà di scelta garantita dalla Costituzione stessa in ambito sanitario.

All’art. 32 della carta costituzionale, infatti, il legislatore ha stabilito che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Questo il principio che ha spinto gli operatori sanitari no vax a chiedere di legittimare e in qualche modo tutelare la loro posizione nei confronti dell’inoculazione del vaccino Covid.

Come già anticipato, però, il loro ricorso è stato respinto dal Tribunale. Con l’ordinanza n.12/2021, il giudice ha difatti legittimato il ricorso alla sospensione dell’attività in caso di rifiuto di sottoporsi al trattamento.

Cosa dice la legge

Nella sentenza, il giudice di Belluno ha ribadito le ragioni di fatto e di diritto che lo hanno spinto ha rigettare il ricorso presentato dai dieci operatori sanitari contrari al vaccino. Il Tribunale ha prima di tutto chiarito quanto ormai sia notoria l’efficacia del vaccino nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus SARS-CoV-2; così come notorio è il drastico calo di decessi causati da detto virus – anche e soprattutto fra le categorie che hanno potuto usufruire del suddetto vaccino, quali il personale sanitario e gli ospiti di RSA.

Pertanto, dato che è incontestato il fatto che i ricorrenti siano impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro, per questi è evidente il pericolo di essere contagiati. Un rischio questo che potrebbe invece essere ridotto sottoponendosi al trattamento anti Covid (ritenuto scientificamente valido).

La permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. (sopra citato). Il codice civile, infatti, impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti. E il vaccino costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia (dato anche questo scientificamente provato).

Vaccino Covid, chi non lo fa può essere sospeso dal lavoro: cosa ha stabilito la sentenza di Belluno

Nel caso in fattispecie, gli operatori sanitari – i ricorrenti –  sono stati messi in ferie forzate dalla struttura in cui prestavano servizio (una RSA nel bellunese) perché considerati dal medico “inidonei al servizio”.

Una possibilità questa riconosciuta al datore di lavoro dall’art. 2109 del codice civile, secondo cui il lavoratore “ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro”.

Inoltre, è stato tirato in ballo il cd. “periculum in mora”, ovvero: “Il possibile danno in cui potrebbe incorrere il diritto soggettivo, per il quale si richiede la misura cautelare, se rimanesse senza alcuna forma di tutela giuridica fino alla pronuncia di merito” (Treccani).

Così, ritenuta l’insussistenza del “periculum” quanto alla sospensione dal lavoro senza retribuzione ed al licenziamento, è stato rigettato dal giudice il ricorso con il quale gli operatori sanitari contrari al vaccino Covid chiedevano di essere reintegrati al lavoro.

La sospensione a seguito di rifiuto del vaccino, in questo modo, è stata riconosciuta e legittimata – per la prima volta in Italia – tramite pronuncia giurisprudenziale. In questi casi, è stato stabilito, prevale l’obbligo del datore di lavoro di mettere in sicurezza i suoi dipendenti e le parti terze (pazienti, ospiti casa di riposo etc.).

Vaccino Covid obbligatorio per gli operatori sanitari: in arrivo decreto del Governo

Intanto, come accennato sopra, l’Esecutivo pare si sia messo al lavoro su un nuovo decreto volto a fare chiarezza – in ambito sanitario – sui diritti e sui doveri del lavoratore in merito alla vaccinazione anti Covid.

Nello specifico, l’ipotesi che si sta facendo sempre più strada è quella di lasciare sì libertà di scelta agli operatori sanitari, ma senza minacciare la salute di terze persone. Da qui la decisione di dare a medici, infermieri e tutti i professionisti operanti in strutture ospedaliere e sanitarie, la possibilità di rifiutare il vaccino ma a una condizione: chi rifiuterà la propria dose non potrà lavorare a stretto contatto con pazienti e/o soggetti a rischio. L’alternativa è il trasferimento e la destinazione ad un’altra mansione, che non precluda appunto la vicinanza con terze persone (specie se fragili).

Chi, pur continuando a lavorare a contatto con il pubblico, continua a non sottoporsi al trattamento andrà incontro alle relative sanzioni, su cui entità si sta ancora discutendo, ma si parla già di sospensione e – nei casi più gravi – licenziamento.

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