Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio scorso, le attenzioni dei media occidentali per mesi si sono concentrate sull’andamento del rublo sul mercato dei cambi. Dopo un iniziale tracollo ai minimi storici contro il dollaro, la valuta di Mosca ha iniziato a riprendersi fino a rafforzarsi persino eccessivamente. La Banca di Russia dovette ritirare parte dei controlli sui capitali per evitare un cambio troppo forte. Anomalia per uno stato sotto embargo da parte dell’Occidente, l’area più ricca di capitali del pianeta.
La palma d’oro va al dram dell’Armenia, che guadagna ben il 22%. A seguire il lari della Georgia con il +16,5%. Molto bene anche il somoni del Tagikistan a +11%. E dire che a marzo, dopo pochi giorni dall’inizio della guerra russo-ucraina, la banca centrale si vide costretta a svalutare il cambio di circa il 13%. Invece, è andata male per il tenge del Kazakistan, che si accinge a chiudere l’anno in calo dell’8% contro il dollaro.
Valute emergenti beneficiarie dei capitali russi
Non risulta difficile capire cosa sia accaduto. Centinaia di migliaia di russi, impauriti per i loro risparmi, si sono spostati nelle vicine repubbliche dell’Asia Centrale, in cui hanno potuto accedere ai dollari dopo avere convertito i loro rubli con le valute emergenti locali. L’afflusso di russi è stato tale che la banca centrale georgiana ha alzato le stime sul PIL di quest’anno dal 4,9% al 13%. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale ha rivisto il dato al rialzo al 10%.
Lo confermano i dati sulle riserve valutarie: da 3,8 a 4,16 miliardi di dollari quest’anno in Georgia; da 3,18 a 3,61 miliardi in Armenia e di poco mosse in Tagikistan.
Sarà anche per questo che i tassi d’inflazione sono rimasti contenuti in Georgia, Armenia e Tagikistan, mentre in Kazakistan sono volati a quasi il 20% a novembre. Le difficoltà russe hanno fatto la fortuna dei vicini di casa.