La cessione di PagoPa a Poste Italiane non s’ha da fare. Lo ha scritto ieri l’Antitrust, cioè l’Autorità Garante per il Mercato. A suo parere, l’operazione non rispetterebbe i requisiti di trasparenza e concorrenza, per cui ha chiesto che si ponga in essere ad una gara pubblica o, comunque, alla possibilità per più soggetti di manifestare il proprio interesse. La piattaforma dei pagamenti digitali a favore della Pubblica Amministrazione è controllata sino ad oggi al 100% dal Ministero di economia e finanze (Tesoro).
PagoPa, Abi e Antitrust bocciano la cessione a Poste
Già le banche avevano bocciato l’iniziativa nei giorni scorsi. L’Abi aveva lamentato la possibile alterazione della concorrenza, notando come Poste sia già presente a valle, cioè con la piattaforma per i pagamenti digitali PostePay e, indirettamente, LISPay. Se la cessione si concretizzasse, ha spiegato, ci ritroveremmo dinnanzi a un cliente controllato da una società che a sua volta risulterebbe a capo della società verso cui effettua i pagamenti.
La questione non è di poco conto. PagoPa gestisce i pagamenti a favore della Pubblica Amministrazione, alcuni dei quali sono richiesti coattivamente. Pertanto, banche e società finanziarie sarebbero in futuro obbligate ad usare un servizio in mano alla concorrenza per effettuare pagamenti in favore degli uffici pubblici. Poste Italiane è diventato a tutti gli effetti un operatore bancario con l’offerta di servizi finanziari in competizione con quelli erogati dagli istituti di credito.
Rischi da accesso a dati sensibili
PagoPa gestirà anche It Wallet Pubblico, un contenitore digitale a cui la Pubblica Amministrazione sta lavorando per consentire ai cittadini di possedere gratuitamente un’identità digitale all’interno dell’App IO.
Il tema tocca le banche e le compagnie di assicurazione anche per le possibili implicazioni che avrebbe sul mercato. Accedendo alla banca dati di PagoPa, Poste avrebbe la possibilità di puntare su nicchie di clienti con l’offerta personalizzata di servizi finanziari e assicurativi. Insomma, c’è il timore che l’operazione serva allo stato per alterare la concorrenza a favore di un soggetto controllato. Poste è nelle mani di Cassa depositi e prestiti per il 35% e del Tesoro per il 29,26%. Il governo punta a cedere una partecipazione consistente, pur conservando il controllo dell’istituto.
Numeri in forte crescita
I numeri di PagoPa possono apparire ancora bassi, ma registrano tassi di crescita medi del 40% all’anno e, soprattutto, le potenzialità sono enormi. Le transazioni nel 2023 sono state pari a 386 milioni, di cui il 32% hanno riguardato le utility (acqua, luce, ecc.), il 22% le Pubbliche Amministrazioni centrali, il 19% ACI, il 12% i Comuni, il 5% l’Istruzione e il 3% la Sanità. Il pagamento medio effettuato da cittadini e imprese è stato di 202 euro. In attesa di conoscere l’ultimo bilancio d’esercizio, sappiamo che il 2022 si è chiuso con un utile netto di 5,2 milioni e un valore della produzione di 56,9 milioni. Il patrimonio netto risultava più che raddoppiato a 9,2 milioni.
Resta da vedere come reagirà l’esecutivo dopo la tirata di orecchie dell’Antitrust. Se il progetto originario era di mantenere totalmente il controllo statale di PagoPa, la quota riservata a Poste difficilmente verrebbe aperta ad altri operatori privati. Tra l’altro, se la partecipazione ad un’eventuale gara fosse garantita alle banche, si riproporrebbero in parte i rischi prospettati dall’authority.
PagoPa, gara aperta alle banche?
Il tema è sensibile e ben descrive la necessità che tutti gli operatori sul mercato abbiano accesso ai dati in condizioni di parità. D’altra parte, cittadini-utenti hanno il diritto alla tutela della loro privacy, una merce sempre più rara e per questo preziosissima nel mondo odierno. I “big data” tracciano il solco tra successo e fallimento di un’impresa, non soltanto nel comparto fin-tech. Chi riesce ad avere prima e/o più degli altri informazioni sui clienti, può direzionare l’offerta in maniera specifica per trarne maggiore valore. I concorrenti resteranno indietro. PagoPa sembra il tentativo del governo di fare concorrenza diretta alle banche tramite Poste. Ma questi è un soggetto quotato in borsa e nei fatti sottoposto alle stesse regole del mercato valide per la concorrenza. Non può pretendere di tenere un piede in due scarpe.