Si è giunti all’indicibile in Venezuela, dove tre studi di altrettanti università hanno trovato che il 90% della popolazione mangerebbe meno dello scorso anno e che dall’inizio del 2014, la povertà assoluta si è impennata del 53%. All’inizio di luglio, approfittando dell’allentamento dei controlli alle frontiere nel corso del fine settimana, 120.000 persone si sono recate in Colombia alla ricerca di beni primari, che in patria non riescono a trovare, nonostante ormai le file davanti ai supermercati durino fino a 8 ore.
Per contrastare la fame, che sta letteralmente dilagando nel paese sudamericano, il presidente Nicolas Maduro ha emesso un decreto, con il quale assegna il potere al Ministero del Lavoro di requisire manodopera “fisicamente capace e know-how” tecnico, al fine di impiegarli nell’aumento della produzione di cibo, perseguito dal governo.
Lavori forzati contro crisi Venezuela
La misura è stata decretata per 60 giorni, ma potrebbe essere estesa alla scadenza. Amnesty International l’ha definitiva contraria alle leggi internazionali, laddove vietano l’uso dei lavori forzati. Perché di questo, in effetti, si tratta, di obbligare i lavoratori di imprese pubbliche e private a lavorare nei campi e/o a produrre all’interno di stabilimenti.
Il governo Maduro ha giustificato la scelta come il frutto dell’opposizione alla “guerra economica”, portata avanti dalla “destra”, in combutta con alcune forze internazionali (gli USA). Secondo il capo dello stato, servirà a “garantire cibo, giustizia sociale e democrazia”.