Il regime di Nicolas Maduro ha fatto trapelare questa settimana l’intenzione di rimpiazzare la Russia sul mercato del petrolio internazionale. L’amministrazione Biden dal canto suo non esclude un allentamento delle sanzioni volute dal predecessore Donald Trump contro Caracas e che da anni stanno impedendo al Venezuela di vendere greggio fuori dai confini nazionali. Caracas è stata anche tagliata fuori dai mercati finanziari, quando nel 2018 Washington ha posto un embargo per impedirle anche solo di accedere ai dollari e di effettuare pagamenti in valuta americana.
Tuttavia, l’ipotesi di allentare le sanzioni contro il Venezuela trova contrari numerosi esponenti bipartisan del Congresso. Il repubblicano Marco Rubio, senatore della Florida, ha accusato il governo americano di barattare la libertà per qualche goccio di petrolio. Il democratico Robert Mendez, senatore del New Jersey, ha ricordato alla Casa Bianca che Maduro sia a capo di un regime repressivo e responsabile di torture verso il suo stesso popolo, nonché di una grave crisi umanitaria.
Petrolio Venezuela, ecco i numeri
Che il petrolio del Venezuela possa rimpiazzare quello russo è già di per sé una notizia. Russia e Venezuela sono alleati nello scacchiere geopolitico. Per tutti questi anni di isolamento economico, finanziario e diplomatico, Maduro ha continuato a intrattenere rapporti sia con Vladimir Putin, sia con la Cina di Xi Jinping. Se un intervento militare USA diretto o tramite gli alleati nel Sud America a Caracas non è stato possibile, lo si deve proprio alla volontà di Washington di evitare uno scontro geopolitico con Russia e Cina. I creditori russi, ad esempio, hanno in pegno la maggioranza del capitale di Citgo, raffineria con sede nel Texas e controllata da PDVSA. Per evitare che si ritrovassero a controllare un asset strategico in territorio americano, l’amministrazione Trump bloccò per decreto la possibilità di un suo passaggio nelle loro mani.
Il Venezuela, tuttavia, estrae ormai da anni pochissimo petrolio. Pur in risalita negli ultimi mesi, riesce a produrre qualcosa come 7-800 mila barili al giorno, esportandone quasi il 90%. Solo nel 2014, sfiorava i 3 milioni di barili al giorno. Decenni di sotto-investimenti hanno privato la compagnia statale PDVSA dei capitali necessari per trivellare nuovi pozzi e aumentare la resa di quelli attivi. Partnership con compagnie straniere sono oramai impossibili per via dell’embargo. Anche volendo, Caracas non avrebbe i mezzi per estrarre più petrolio, tant’è che gli stessi venezuelani sono a corto di carburante e di energia elettrica, abituati a lunghissime file dinnanzi ai distributori di benzina e a blackout quotidiani.
Chi rimpiazzerebbe il petrolio russo
Certo, l’eventuale allentamento delle sanzioni cambierebbe il quadro. Se al Venezuela fosse consentito nuovamente di esportare petrolio e di stringere alleanze commerciali per estrarlo, con il passare dei mesi la produzione aumenterebbe. Ma difficilmente di molto. Pensate solamente che un embargo totale contro il petrolio russo priverebbe il mercato globale di 5 milioni di barili al giorno. A questo punto, poiché i paesi consumatori non potrebbero restare privi a lungo di tale offerta, servirebbe rimpiazzarla con quella di altri produttori. Il solo Venezuela non basterebbe minimamente.
L’Arabia Saudita ha una produzione attuale giornaliera di oltre 10 milioni di barili, ma potrebbe arrivare in breve tempo a 12-12,5 milioni. Tanto, ma ancora non sufficiente. Gli Emirati Arabi Uniti hanno in programma a loro volta di aumentare la loro produzione di 1 milione di barili al giorno, ma entro il 2030. Infine, con l’eventuale raggiungimento di un accordo sul nucleare con l’Iran, questi tornerebbe ad esportare fino ad altri 1,5 milioni di barili al giorno, pur se nel lasso di tempo di circa un anno.
In definitiva, rimpiazzare il petrolio russo sarebbe possibile, ma nel medio-lungo periodo. Nel breve, appare un’operazione molto complicata, certamente non si potrebbe fare alcun affidamento sul Venezuela.