Dopo la pausa estiva, la politica in Italia tornerà a parlare di pensioni, della necessità di varare l’ennesima riforma all’insegna della flessibilità in uscita dal lavoro da un lato e della sostenibilità dei conti Inps dall’altro. Il discorso non cambia da anni: spendiamo troppo per la previdenza, circa il 16% del Pil e atteso salire fino al 17% o poco oltre nei prossimi anni. Un dato che ci pone ai vertici della classifica europea dopo la Grecia. Gli interventi in materia sono stati numerosi negli ultimi trenta anni.
Bassa occupazione male italiano
Eppure, sembra che non basti per riequilibrare i conti. Il capitolo pensioni in Italia continua ad assorbire risorse dello stato, cioè il governo deve attingere alla fiscalità generale, altrimenti i soli contributi versati da imprese e lavoratori dipendenti e autonomi non basterebbero a pagare gli assegni. Ed ecco che l’ipotesi di allungare ulteriormente l’età pensionabile non tramonta mai, specie tra i tecnici. I politici si guardano bene dal ragionarci ad alta voce, memori dell’estrema impopolarità dell’ultima riforma targata governo Monti.
Ma siamo sicuri che il problema si risolva esclusivamente guardando alla fine del percorso lavorativo degli italiani? Nel Bel Paese esiste uno grosso guaio: la bassa occupazione. Il numero degli occupati è salito fino a sfiorare i 24 milioni, al 62,5% nella fascia 15-64 anni. Un record storico, ma che deve fare i conti con il fatto che restiamo ultimi nella classifica continentale. In media, nell’Unione Europea il tasso di occupazione tra i cittadini di età compresa tra 20 e 64 anni si attestava al 75,3% nel 2023.
Numeri mercato del lavoro
E se tra gli uomini la percentuale europea sale all’80,4% contro il 70,2% tra le donne, il gap in Italia è ben maggiore: 76% contro il 56,5%. In altre parole, il principale problema dell’occupazione nel nostro Paese riguarda le donne. E come vedremo, le cose non vanno meglio tra i giovani. Nella fascia 15-24 anni, l’occupazione nella UE è al 37,3%, in Italia solo al 24,3%. Nella fascia 25-54 anni, le distanze si assottigliano di molto: 87,2% contro 83,7%. Infine, nella fascia 55-64 anni abbiamo il 70,1% contro il 67,8%.
- EU 20-64 anni: 75,3% (uomini 80,4%, donne 70,2%) / Italia: 66,3% (uomini 76%, donne 56,5%)
- 15-24 anni: 37,3% UE / 24,3% Italia
- 25-54 anni: 87,2% UE / 83,7% Italia
- 55-64 anni: 70,1% UE/ 67,8% Italia
Più che di un’ennesima riforma delle pensioni in Italia, avremmo bisogno di tendere ai numeri europei per il mercato del lavoro. E lo si può fare solo stimolando l’occupazione tra giovani e donne. Cosa c’entra con gli assegni di vecchiaia? Se avessimo quei circa 3 milioni di lavoratori in più occupati, il gettito contributivo salirebbe fino a probabilmente coprire per intero la spesa per le pensioni. Il sistema previdenziale diverrebbe più sostenibile. E non solo per l’oggi. Donne e giovani che lavorano, implicano carriere lavorative meno discontinue e la possibilità in futuro di godere di assegni più dignitosi anche con il metodo contributivo.
Pensioni in Italia, problema è bassa crescita
In passato si è reso necessario allungare l’età pensionabile e tagliare gli assegni secondo criteri meno generosi. Ora è arrivato il momento di sistemare le fondamenta e non il tetto. Se le pensioni in Italia sembrano una voce di spesa fuori controllo, è perché ci sono pochi lavoratori che contribuiscono a sostentarle. E non tanto per le basse nascite, visto che già oggi sono pochi i giovani che lavorano con un contratto in regola. Prima di ragionare di fenomeni socio-demografici innegabili, bisogna guardare alla realtà dei fatti.