C’era un tempo in cui la Bundesbank dettava la linea di politica monetaria in tutta Europa. Paradossalmente, ciò avveniva prima dell’euro. Adesso, sembra avere ragione il premier Mario Draghi, che ancora da governatore BCE ebbe a dichiarare che grazie all’euro, la politica monetaria nell’area la si decide insieme. E a dimostrarlo ci sono i rendimenti tedeschi.
Procediamo con ordine. Il capo della Bundesbank, Jens Weidmann, la settimana scorsa ha annunciato che si dimetterà dalla fine dell’anno dopo 10 anni e mezzo di servizio alla guida della più importante banca centrale dell’Eurozona.
Flop Bundesbank di Weidmann
In questi ultimi 10 anni, la Bundesbank di Weidmann si è opposta all’azzeramento dei tassi, al “quantitative easing”, al piano anti-spread di Draghi, al sostegno incondizionato della BCE ai mercati sovrani più deboli dell’area e di recente anche contro l’eccessiva durata del PEPP e il mantenimento dei tassi negativi sui depositi overnight. Problema: tutte queste battaglie sono andate perdute. I tedeschi non sono stati capaci di organizzare una maggioranza in seno al board per opporsi al governatore di turno e al suo accomodamento monetario estremo.
Essere minoranza non significa avere torto, ma non riuscire ad incidere, se non attraverso cavilli legali, sul funzionamento di una banca centrale è effettivamente grave. Specie se rappresenti un istituto, che fino alla fine degli anni Novanta decideva praticamente per tutte le nazioni europee il livello dei tassi d’interesse. Dove sta il fallimento della Bundesbank? Dicevamo, lo si legge nei rendimenti tedeschi. Il Bund a 5 anni ancora offre -0,45%, quello a 10 anni -0,12%. Con un’inflazione in Germania ormai sopra il 4%, questi livelli sono in termini reali ancora più negativi.
Il Bund indicizzato all’inflazione a 5 anni offre attualmente un rendimento del -2,45%, per cui segnala un’aspettativa d’inflazione quinquennale del 2%. A conti fatti, chi investe in un titolo di stato della Germania a 5 anni, alla scadenza avrà perso oltre il 10% del capitale per effetto del minore potere d’acquisto. Sui 10 anni, la situazione è ancora più grave. Qui, le perdite effettive ammontano all’incirca al 20%. Sui 25 anni, s’impenna al 47%. E’ questo il risultato di un decennio di opposizione della Bundesbank a Draghi prima e Christine Lagarde dopo.
Rendimenti tedeschi al tappeto
Ha fatto bene Weidmann a dimettersi, perché la sua Bundesbank ha qualche difficoltà ormai a far digerire ai risparmiatori tedeschi i rendimenti infimi di questi lunghi anni, i quali finiscono per intaccare la loro futura vecchiaia. Direte, ma la responsabilità è in capo alla BCE! Non esattamente. Questo estremo accomodamento monetario per sostenere l’inflazione è la foglia di fico dietro alla quale da un decennio a questa parte Francoforte si nasconde per tenere a galla stati altrimenti falliti come Italia, Spagna e persino Francia.
E che c’entra la Bundesbank? Semplice: se, anziché opporre sterili “nein” a ogni schema di tutela incondizionata dei bond dagli attacchi speculati, avesse saputo dire anche qualche “ja”, la situazione oggi sarebbe decisamente diversa sui mercati. Vero, così facendo la BCE avrebbe finito per appoggiare l’irresponsabilità fiscale del Sud Europa. A parte che si sarebbero potuti negoziare meccanismi più severi in sede di implementazione del Fiscal Compact, la realtà è già oggi questa. Semplicemente, la BCE sta sostenendo l’indisciplina fiscale con un apparato monetario estremo, quando avrebbe potuto limitarsi a interventi specifici o a un teorico avvertimento ai mercati sulla difesa illimitata e incondizionata dei bond dalla divaricazione degli spread. Nessuno avrebbe osato sfidarla.
I rendimenti tedeschi sarebbero stati più alti non solo per la politica monetaria più restrittiva della BCE, ma anche per la minore avversione al rischio sul mercato, rassicurato sulla solvibilità dei debiti nel Sud Europa.