Verso la fine degli Stati nazionali

Cinque implicazioni chiave che rivoluzioneranno l’approccio degli investitori istituzionali. A cura di Taimur Hyat di PGIM sulla
6 anni fa
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Lo Stato nazionale moderno, teorizzato 370 anni fa, è messo sempre più in discussione da forze che non sono sotto il suo diretto controllo: mercati dei capitali globali, multinazionali, attori non statali, minacce transnazionali climatiche e biologiche, cittadini digitali che trasmettono liberamente informazioni attraverso i confini. I tentativi delle nazioni sovrane di riprendere il controllo di queste forze della globalizzazione potrebbero essere una delle criticità del nostro tempo.

In queste circostanze, le politiche monetarie e fiscali tradizionali e la struttura storica degli investimenti rischiano di rivelarsi inadeguate al contesto economico in cambiamento.

Una prospettiva globale di più ampio respiro – che includa i nuovi rischi geopolitici e le modalità con cui tali rischi si manifestano – risulterà essere centrale.
Abbiamo individuato due trend preponderanti che ridisegnano lo scenario geopolitico:

Le voci di una fine della globalizzazione sono ampiamente sovrastimate. I flussi transnazionali di capitali finanziari, umani e digitali stanno raggiungendo livelli massimi. Ad esempio, 70 delle prime 100 economie globali sono oggi multinazionali che superano la maggior parte degli Stati nazionali in termini economici. Più del 40% del fatturato delle società dello S&P 500 e dell’MSCI Europe è generato al di fuori del mercato domestico. Al contempo però, la globalizzazione presenta anche alcuni aspetti negativi: oltre al rischio di contagio finanziario, ormai un dato di fatto, i singoli Stati hanno oggi a che fare anche con altre problematiche, tra cui il cybercrime internazionale, le criptovalute, le differenze di tassazione tra i diversi Paesi e le pandemie globali.

Una reazione negativa alla globalizzazione, di intonazione populista, ha preso piede in molti mercati sviluppati. E non è una sorpresa che temi quali nazionalismo isolazionista e populismo siano diventati argomenti comuni per i mercati Sviluppati al momento di esprimere il voto: il consenso dei partiti populisti è cresciuto di 5 volte rispetto al 1965. Gli intrecci di questi elementi geopolitici potrebbero avere implicazioni profonde per i mercati finanziari globali.

Quindi, gli investitori istituzionali con un’ottica di lungo periodo potrebbero voler ripensare il proprio approccio agli investimenti, considerando cinque azioni chiave.

1. Basarsi meno su fattori top-down definiti a livello nazionale, che hanno un ruolo sempre più marginale nella performance di azionario, immobiliare e debito corporate. Il complesso scenario di attori globali da tenere in considerazione include oggi multinazionali, banche centrali e autorità di regolamentazione di altri Paesi, emittenti di debito corporate e quasi-sovrano e amministratori a livello cittadino e provinciale, che potrebbero operare in maniera differente dai rispettivi governi nazionali.

2. Adottare un framework globale per tutte le decisioni d’investimento, considerata la crescente importanza degli effetti di ricaduta transnazionali sui prezzi degli asset. La tradizionale separazione tra titoli domestici e titoli internazionali è sempre più labile. Gli investitori dovrebbero considerare un singolo benchmark globale a livello di policy, mentre a livello di selezione dei titoli dovrebbero ampliare il campo di analisi per comprendere, ad esempio, come una società potrebbe beneficiare della globalizzazione o al contrario andare incontro a problemi di natura normativa sulla base delle regolamentazioni di uno Stato nazionale.

3. Assicurarsi che il rischio politico dei mercati Sviluppati sia integrato nelle decisioni d’investimento, in maniera simile a quanto fatto per l’analisi dei rischi dei mercati Emergenti e di frontiera. Come reso evidente dalla Brexit il rischio politico dei mercati Sviluppati non è solo teorico. La chiave sta nell’isolare il teatro politico dal rischio reale, con un’attenzione particolare a quelle azioni politiche che potrebbero sconvolgere i mercati finanziari. In questo senso sarebbe opportuno confrontarsi regolarmente con gli asset manager per comprendere la loro valutazione del rischio politico di singole società e settori, utilizzare società di consulenza o sviluppare un team in-house dedicato al rischio politico, valutare la reale esposizione economica rispetto all’esposizione bilanciata per la capitalizzazione di mercato e condurre approfondite analisi di scenario.

4. Preparare il portafoglio a un aumento della volatilità e all’incertezza politica. La storia ci mostra che quando gli elementi di disturbo all’ordine geopolitico tradizionale raggiungono una certa massa critica possono portare a cambiamenti significativi e addirittura a rotture strutturali dell’economia globale. Anche se è difficile rendere immuni i portafogli rispetto a questi rischi, gli investitori dovrebbero valutare attentamente la loro reale diversificazione geografica e quanto i gestori attivi long-only e alternativi siano davvero in grado di individuare i vincitori e i perdenti in questi scenari. Gli investitori potrebbero anche considerare l’utilizzo mirato di strategie di hedging del rischio di coda.

5. Prepararsi a essere visti come attori del cambiamento con posizioni pubbliche rispetto alle sfide globali. Gli stakeholder della società civile chiederanno sempre più ai grandi asset manager di agire in qualità di attori del cambiamento nelle sfide transnazionali, un ruolo che appare scomodo a molti, tradizionalmente focalizzati soprattutto sulla gestione dei patrimoni. Tuttavia, molti soggetti (clienti, organizzazioni no profit, stampa, membri del board), si aspettano sempre più che i responsabili degli investimenti comunichino la loro posizione rispetto a problematiche globali come cambiamento climatico, biodiversità, standard di lavoro internazionali e parità di genere. Ci si aspetta anche che questi manager dimostrino la loro leadership attraverso il coinvolgimento delle imprese e per mezzo di scelte di asset allocation a supporto delle loro posizioni.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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