Giovedì 27 ottobre, la BCE aumenterà quasi certamente i tassi d’interesse. E stando alle previsioni della vigilia, ci sarà un ritocco all’insù di altri 75 punti base. Questo significa che i tassi di riferimento saliranno da 1,25% al 2%, mentre sui depositi delle banche da 0,75% a 1,50%. E’ la logica conseguenza dell’esplosione dell’inflazione, che nell’Eurozona a settembre è salita al 10%. Il target di Francoforte è del 2% nel medio periodo, per cui i prezzi al consumo stanno correndo cinque volte tanto. Ma la revisione del costo del denaro non dovrebbe essere l’unico oggetto della discussione al board di questo mese di ottobre.
Iniziamo dalla prima questione. Con l’inflazione a doppia cifra, il solo rialzo dei tassi BCE rischia di rivelarsi poco efficace per frenare la corsa dei prezzi. C’è ancora eccessiva liquidità sui mercati, alimentata dalla stessa Francoforte. Ad oggi, l’istituto reinveste i proventi incassati con i bond in scadenza che detiene in portafoglio. Lo fa sia per gli asset posseduti con il “quantitative easing”, sia con quelli legati al PEPP. Questi ultimi saranno riacquistati fino a tutto il 2024, stando alla “forward guidance”.
Dopo rialzo tassi BCE c’è QT
L’altro giorno, il governatore francese François Villeroy de Galhau ha spiegato che tali reinvestimenti saranno verosimilmente scalati progressivamente. Cosa significa? La BCE si limiterebbe a reinvestire solo parte dei proventi ottenuti di mese in mese. In questo modo, inizierebbe a ridurre il suo bilancio. Sarebbe il “quantitative tightening” (QT) e arriverebbe molto probabilmente solo dopo che sarà stato completato il rialzo dei tassi BCE. Questi saranno alzati fino a raggiungere il livello neutrale, quello a cui l’economia nell’Eurozona non risulterebbe né stimolata, né depressa.
Il tasso neutrale è stimato collocarsi poco sopra il 2%. In altre parole, dopo la stretta monetaria di ottobre, ci saremmo molto vicini. Entro dicembre, dovremmo tenderci. A quel punto, già nei primi mesi del 2023 scatterebbe il QT. Sarebbe un’ulteriore batosta per i titoli di stato, specie quelli italiani così bisognosi di domanda istituzionale.
E non è tutto. C’è il tema dei prestiti bancari. Le aste T-Ltro furono inventate dall’allora governatore Mario Draghi nel 2014 e consistono in erogazioni a favore delle banche a medio-lungo termine e a basso costo. Con la pandemia, alle banche sono stati erogati quasi 2.100 miliardi di euro a tassi negativi, fino al -1%. Ora che i tassi BCE stanno salendo, gli istituti stanno maturando elevati profitti semplicemente tenendo quella enorme liquidità parcheggiata presso la stessa BCE in forma di depositi overnight.
Fine del denaro facile
Villeroy ha stimato che su questi prestiti bancari gli utili ammonterebbero a ben 25 miliardi. Tutte somme incassate senza alcun rischio. A Francoforte si discute da mesi su come evitare che ciò accade. Oltre ad essere un’offesa per centinaia di milioni di persone alle prese con il caro bollette, non fa bene alla stessa economia che tanta liquidità frutti utili senza far nulla. In effetti, se una banca ha preso in prestito 1 miliardo di euro al -1% e lo deposita presso a tassi BCE dello 0,75% (probabilmente all’1,50% dopo il board di ottobre), in un anno matura un profitto dell’1,75%, cioè di 17,5 milioni.
La soluzione in auge sarebbe di remunerare tali prestiti bancari a tassi BCE inferiori a quelli praticati sul resto della liquidità. Il problema sorgerebbe dal punto di vista legale. La revisione degli accordi avrebbe natura retroattiva. Tuttavia, all’Eurotower sostengono che sarebbe “sormontabile”. Per le banche, cattive notizie. Non solo avranno accesso alla liquidità a condizioni molto peggiori rispetto a qualche mese fa, ma potrebbero ritrovarsi a non confidare sugli utili che già pensavano di avere certi con il semplice gioco sulle aste T-Ltro.