Il rifiuto del commercio mondiale
L’avversione al commercio mondiale, percepito come sfavorevole ai propri interessi, quando intrattenuto con economie emergenti come la Cina, che non giacciono sullo stesso piano delle regole produttive, rientra nel novero delle spiegazioni possibili di questi esiti elettorali sempre più stupefacenti e raccolti in giro per l’opulento Occidente, ma non sarebbe l’unica.
Il voto a Trump è stato contro un sistema politico eccessivamente prono ai desiderata di ricchi finanzieri e banchieri, che a torto o a ragione vengono considerati dal grosso della popolazione americana e di quella europea i responsabili della potente crisi finanziaria del 2008, esplosa proprio negli USA e propagatasi nel resto del pianeta, che ha mandato in recessione le principali economie mondiali, provocando un’ondata di elevata disoccupazione e di crisi fiscale per i bilanci statali di numerosi paesi.
La ferita della crisi
Non che Trump sia un reale alfiere dei lavoratori contro Wall Street; non dimentichiamoci che egli stesso è un immobiliarista, ma sarebbe stato premiato per il coraggio con cui ha attaccato a testa bassa il “Deep State”, quelli che in Italia sarebbero definiti i “poteri forti”.
La Clinton, che proprio sui lavoratori aveva inizialmente subito la concorrenza interna del “socialista” Bernie Sanders, ha cercato di recuperare con la proposta di innalzare il salario minimo, ma il suo programma per assecondare le classi più deboli è stato imbastito di tasse sui ricchi e promesse di spesa assistenziale, che probabilmente hanno proiettato più l’immagine di una candidata di sinistra old style, non realmente in grado di rappresentare i nuovi interessi di chi è rimasto indietro con la crisi. (Leggi anche: Bernie Sanders può davvero insidiare Hillary Clinton?)