Pensioni sempre più magre? Non solo, ma l’effetto inflazione sta erodendo giorno dopo giorno il potere di acquisto di pensionati e lavoratori il che implica che le rendite sono troppo basse. Poi c’è anche il fatto che gli adeguamenti arrivano sempre dopo, cioè quando il carovita e l’impennata dei prezzi ha già fatto danni.
A conti fatti, per mantenere lo stesso stile di vita di due anni fa servirebbe una pensione di almeno un terzo superiore a quella attuale.
Come l’inflazione erode le pensioni
La ripresa dell’attività di Governo dopo la pausa estiva sarà quindi caratterizzata dalla messa a punto di una complessa manovra di bilancio da 30 miliardi di euro a sostegno dei redditi bassi, il cui capitolo riforma pensioni rischia di essere lasciato in disparte. Lo ha detto il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti al meeting di Rimini: “non possiamo arrivare dappertutto”.
Considerando che il governo intende indirizzare la manovra sulla riforma fiscale, sull’alleggerimento delle tasse col taglio del cuneo contributivo e al sostegno dei redditi medio bassi, si intuisce che poco resta da spendere per la tanto attesa riforma della pensioni. Alla ripresa del confronto coi sindacati a settembre, si parlerà di ritocchi alle misure già esistenti, ma niente di più.
Anche perché per il 2024 andranno stanziati altri 10-12 miliardi di euro (un terzo della manovra finanziaria), solo per la perequazione automatica per più di 16,4 milioni di pensioni in pagamento. Pur tenendo conto del taglio alla rivalutazione degli assegni più alti introdotto lo scorso anno. Insomma, soldi che lo Stato dovrà obbligatoriamente trovare e la cui destinazione è prioritaria rispetto alle riforme.
La stangata sulle pensioni future
Ma le maggiori preoccupazioni non sono tanto quelle delle pensioni in pagamento, quanto quelle che verranno. Il trend è in progressivo calo per effetto dell’entrata a regime del sistema di calcolo contributivo che si completerà fra una decina di anni. Le pensioni dei giovani lavoratori di oggi, quindi, saranno più basse di quelle dei padri e dei nonni, non c’è dubbio.
A ciò bisogna aggiungere che il precariato diffuso, lavori discontinui e mal pagati contribuiranno a determinare pensioni da fame al raggiungimento dell’età pensionabile. Col rischio di un impoverimento sociale mai visto prima. Se non si interviene, sarà un disastro per il nostro Paese. Anche perché occorrono più lavoratori per pagare una sola pensione, e il nostro paese è peraltro affetto da bassi e persistenti tassi di denatalità.
L’intenzione del governo e, in particolare, quella del ministro del Lavoro Elvira Calderone è quella di trovare una soluzione per colmare i periodi contributivi scoperti e per sostenere le rendite, visto che sparirà anche il trattamento minimo di pensione. Secondo un recente studio della Corte dei Conti, infatti, circa un terzo dei giovani lavoratori di oggi percepisce una retribuzione media di 20 mila euro all’anno. Cosa che condurrà a una pensione di 400-500 euro al mese.
Troppo poco per vivere. Serve una pensione di garanzia che permetta a tutti il raggiungimento di un minimo vitale all’età pensionabile. Cosa che non potrà essere ottenuta passando dalla previdenza complementare su cui insiste l’esecutivo, perché comunque richiede disponibilità economiche da parte dei lavoratori.
Riassumendo…
- L’inflazione erode il potere di acquisto dei pensionati.
- Un terzo delle risorse della manovra finanziaria sarà assorbito dalle rivalutazioni delle pensioni.
- Resta poco spazio per approntare riforme al sistema.
- Il governo è orientato a intervenire per sostenere le pensioni dei giovani lavoratori.