Dopo che il presidente americano Donald Trump aveva sospeso i dazi per 90 giorni, fatta eccezione per la Cina, i mercati finanziari erano sembrati tornare a respirare, a partire da Wall Street. L’indice S&P 500 chiudeva quella sera stessa in rialzo del 9,5%, mentre il NASDAQ metteva a segno un boom superiore al 12%. La seduta successiva veniva archiviata rispettivamente a -3,46% e -4,31%. Chi si immaginava che la volatilità sarebbe finita con una semplice dichiarazione tramite social, ha dovuto prendere atto che così non è stato.
Volatilità ai massimi da inizio Covid
L’indice VIX, anche detto “della paura” e che misura il grado di volatilità atteso dai mercati, è salito ai massimi da marzo 2020, quando il Covid arrivò in Europa e impose i “lockdown”, a partire dall’Italia.
All’inizio dell’anno valeva 18 punti scarsi, mentre ieri risultava superiore a 40. E ad inizio settimana era volato fino a più di 52 punti. Il massimo storico fu toccato a 79,13 punti nell’ottobre del 2008, a due mesi dal crac di Lehman Brothers e nel corso della più potente crisi finanziaria mondiale sin dal 1929.
La volatilità in sé non deve fare paura. Essa consente al mercato di fare arbitraggio tra prezzi nel tempo e riduce anche il rischio che si alimenti una bolla speculativa. Negli ultimi anni è stata relativamente bassa, a parte durante i primi mesi dopo l’invasione russa dell’Ucraina. E non va bene, perché la calma piatta sui mercati porta alla compiacenza verso valutazioni azionarie spesso non giustificate dai fondamentali. Inoltre, riduce le occasioni di acquisto con una prospettiva di guadagno attendibile.
Mercato obbligazionario altalenante da mesi
Ciò detto, la volatilità in questa fase non sta riguardando solamente le azioni, bensì anche il mercato obbligazionario. I rendimenti a lungo termine sono scesi, risaliti, ridiscesi e risaliti di nuovo nell’arco di appena 4 mesi. Tanto per farvi un esempio, il BTp a 10 anni offriva fino al minimo del 3,19% a dicembre, mentre un mese dopo toccava il 3,84%. Poche settimane più tardi, agli inizi di febbraio, ripiegava a un minimo del 3,44%. E a marzo sfiorava il 4%. Da allora il rendimento ha oscillato in un range dello 0,25%.
Non è che i mercati siano impazziti, il fatto è che sono intervenuti diversi fatti inaspettati. La vittoria di Trump a novembre ha dapprima scatenato una corsa all’acquisto di azioni e a soffrirne sono state le obbligazioni per via dell’atteso aumento dell’inflazione. Dopo è avvenuto il contrario per il timore di una recessione in arrivo per l’economia americana. Nel frattempo, la Germania annunciava un maxi-piano da 1.000 miliardi di euro in deficit tra riarmo e investimenti infrastrutturali. Infine, i dazi.
Questa volatilità non ha prodotto solo guai. L’S&P 500 è sceso del 14% dai massimi toccati a febbraio, almeno in parte stemperando il timore circa lo scoppio improvviso della bolla azionaria. I rendimenti in rialzo stanno consentendo a molte famiglie di entrare sul mercato dei bond quando sembrava che non ci fossero più occasioni per investire in modo proficuo.
I recuperi anche veloci dei prezzi hanno altresì offerto la possibilità a molte di esse di rivendere in fretta con un guadagno anche minimo.
In forse globalizzazione
Ma è evidente che tanta volatilità stia disorientando coloro che sui mercati finanziari avevano fatto ingresso di recente per restarci a lungo. In molti si chiederanno cosa fare, se abbia senso mantenere gli asset in portafoglio o non sia meglio rivendere e limitare così le perdite. Non può esistere una risposta uguale per tutte le esigenze. Se applicassimo la regola per cui dovremmo investire solo il denaro che non ci serve, sarebbe il caso di dire che dovremmo semplicemente attendere che le cose migliorino. Questo non deve illuderci che l’inversione arriverà presto.
Mentre il Covid nel 2020 fu un evento, per quanto drammatico, di natura extra-economica e temporanea e le borse risalirono praticamente subito dopo essere crollate, ora è diverso. Non siamo neanche in presenza di una grave crisi come nel 2008, che sarebbe potuta finire anche peggio e che venne fronteggiata dalle banche centrali e dai governi con stimoli senza precedenti. La volatilità di questa fase si deve al fatto che nessuno tra gli investitori ha idea di come sarà il mondo anche solo tra pochi mesi. I dazi porrebbero fine alla globalizzazione come l’abbiamo conosciuta. Serve immaginare cosa avverrà senza il libero commercio, anche se ciò riguardasse la sola Cina.
Volatilità a lungo sui mercati
Noi siamo abituati a valutare una società quotata in borsa come Apple per la sua capacità di fabbricare iPhone e altri dispositivi elettronici in Asia per venderli dappertutto. Questo mondo potrebbe essere finito, ma con quali conseguenze per il suo fatturato e i margini? E cosa accadrà all’economia mondiale? Neanche i bond si salvano da questo scombussolamento, perché un mondo meno globalizzato porta all’aumento dei costi di produzione, cioè ad una maggiore inflazione. I rendimenti rischiano di salire e i prezzi di scendere stabilmente. Ecco spiegato il motivo per cui la volatilità non finirà presto sui mercati. Resterà elevata fino a quando non si potranno compiere ragionamenti a bocce ferme.
I negoziati tra USA e resto del mondo dureranno mesi, forse persino anni. Dal loro esito sarà riscritto l’ordine mondiale.
giuseppe.timpone@investireoggi.it