Se Volkswagen è in crisi, significa che la Germania deve farci paura

La crisi della Volkswagen segnala la gravità della situazione in Germania, dove il governo Scholz traballa e sta paralizzando l'Europa.
3 mesi fa
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La crisi della Volkswagen deve preoccuparci
La crisi della Volkswagen deve preoccuparci © Licenza Creative Commons

Che in Germania il motore della crescita si sia inceppato, lo avevamo capito da un pezzo. I segnali vi erano già prima della pandemia, ma negli ultimi anni il modello tedesco è naufragato tra crisi delle esportazioni e rincari delle materie prime. E adesso a confermare la crisi c’è niente di meno che Volkswagen, forse l’azienda che più al mondo identifica la prima economia europea. I suoi dirigenti lo hanno dichiarato esplicitamente agli inizi di settembre, dinnanzi a una platea inferocita di operai e indipendenti che per venti minuti hanno impedito loro di parlare scandendo slogan del tipo “Volkswagen siamo noi, non voi!”.

Crisi Volkswagen, numerosi licenziamenti in vista

I volti dei manager erano visibilmente imbarazzati. Ciò non ha addolcito le loro parole, quando hanno comunicato a IG Metall, principale sindacato dei metalmeccanici, che dopo trenta anni potrebbero sciogliere unilateralmente il programma di sicurezza del lavoro. Tradotto: ci saranno licenziamenti entro il mese di gennaio. Quanti? Di numeri ufficiali non ce ne sono, anche se gli analisti parlano di 20.000 esuberi. A rischio vi sono alcuni stabilimenti del gruppo. Nei giorni scorsi alcune indiscrezioni di stampa erano arrivate a supporre 30.000 licenziamenti, ma l’azienda ha voluto smentire le voci.

In conferenza stampa, la crisi di Volskwagen stava tutta in una cifra: “mancano all’appello 500 mila automobili” è stata la lamentela dei dirigenti. A loro avviso, la colpa non è del prodotto in sé, quanto del fatto che “non c’è più mercato”. Entro pochi anni dovranno recuperare 10 miliardi di euro. I tagli ci saranno e dolorosi. Lo sanno tutti, operai compresi, che hanno avviato iniziative di protesta. La tensione in Germania è massima su tutti i fronti. Volkswagen è per l’intera nazione ciò che ancora oggi rappresenta l’ex Fiat per Torino.

Auto elettriche grande flop europeo

Il gruppo automobilistico fu fondato nel 1937 dal governo nazista di Adolf Hitler.

Egli voleva una “macchina del popolo”, cioè alla portata delle tasche comuni. Questo, in effetti, significa letteralmente Volkswagen. La sede centrale è a Wolfsburg, città nella Bassa Sassonia, anch’essa fondata un anno dopo dalle autorità naziste per dare alloggio agli operai. Ma tra questi stessi ormai vi è la convinzione che di “popolare” sia rimasto ben poco. I tedeschi ritengono che i prezzi siano diventati proibitivi per i più. “Cancellate la V dal logo” gridava un’operaia durante la protesta dei giorni scorsi.

Il gruppo ha prodotto 9,24 milioni di auto in tutto il mondo, di cui 4,87 milioni il solo marchio Volkswagen. Di queste, 394.000 sono state auto elettriche. I dipendenti sono 684.000, di cui la metà nella sola Germania. Il blocco delle assunzioni adottato dall’azienda, tuttavia, non ha portato benefici visibili. Anche perché le vendite della linea elettrica sono collassate. E non solo per il gruppo tedesco. Ad agosto, segnavano -69% in tutta Europa. Appena il governo di Berlino ha ritirato gli incentivi, non si stanno vendendo più elettriche.

Germania ferma, governo Scholz sotto accusa

In borsa, il titolo perde oltre il 20% quest’anno e quasi i tre quarti dai massimi di inizio 2021. Molti accusano i dirigenti stessi della crisi Volkswagen, sostenendo che abbia perso troppo tempo prima di lanciare modelli elettrici dai prezzi popolari. Molti altri se la prendono con il governo Scholz, che ha perseguito un’agenda ideologica improntata all’ambientalismo più bieco, senza guardare in faccia nessuno. I risultati sono catastrofici: la Germania si è fermata, anzi va indietro. E la crisi, da economica è diventata già politica. La coalizione rosso-verde-gialla è stata umiliata prima alle elezioni europee, dopo molto peggio in Turingia e Sassonia, dove ha raccolto la miseria del 12% nel complesso.

Festeggiano gli euroscettici di AfD, ormai dietro soltanto ai conservatori all’opposizione. Le elezioni di domenica 22 settembre in Brandeburgo potrebbero decretare la fine del governo federale con un anno di anticipo.

Per cercare di frenare il collasso elettorale, il cancelliere ha reintrodotto i controlli alle frontiere per arrestare l’immigrazione fuori controllo. Sembra intenzionato ad azzerare gli ingressi tramite asilo politico dopo il brutale attentato in Renania Settentrionale-Vestfalia, in cui un profugo siriano ha accoltellato diverse persone durante una festa paesana.

Crisi Volkswagen attraversa la frontiera

La crisi di Volkswagen è quella di un’intera economia senza più idee e lontana dalla sicumera di qualche tempo addietro, quando puntava il dito contro tutti i partner europei sui temi caldi. L’anno scorso il governo è stato ufficialmente riconosciuto dalla Corte dei Conti responsabile di avere truccato i conti pubblici di 869 miliardi di euro. Berlino è stata colpita nel suo orgoglio più grande, quello di essere fiscalmente responsabile. Il Pil è scivolato dello 0,3% nel 2023 e quest’anno, se tutto andrà bene, resterà fermo per Bundesbank. L’istituto prevede un lieve miglioramento per l’economia solo da fine anno. Anche per questo Confindustria ha avvertito che nel terzo trimestre le esportazioni dell’Italia starebbero andando maluccio. Le nostre imprese, specie nel nord-est, sono molto integrate con quelle tedesche dell’automotive. Inevitabile che la recessione tedesca prima o poi abbia conseguenze anche oltreconfine.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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