Uno dei nuovi ministri del neo-presidente Emmerson Mnangagwa, Monica Mutsvangwa, ha annunciato che Robert Smart, 71 anni, agricoltore del distretto orientale di Rusare, potrà tornare in possesso della sua terra, che gli era stata espropriata dal governatore locale e fedele all’ex presidente Robert Mugabe, il giugno scorso. La notizia riveste un’importanza particolare nello Zimbabwe di oggi, perché segnalerebbe una vera svolta nella gestione dell’economia per la prima volta dopo 37 anni. Il consigliere del presidente e marito, Chris Mutsvangwa, ha dichiarato che “indipendentemente dal colore della pelle, della razza e del credo, tutti i cittadini dello Zimbabwe sono benvenuti per collaborare allo sviluppo del paese”.
Parlare di svolta storica forse è presto, ma ne avrebbe già le sembianze. Smart era stato uno delle ultime vittime dell’era Mugabe, sotto cui migliaia di proprietari terrieri bianchi sono stati espropriati e i loro fondi erano stati assegnati alla maggioranza nera, in segno di rivalsa per il periodo coloniale. Queste misure, attuate dall’inizio del Millennio, hanno provocato il crollo della produzione agricola, del pil e l’esplosione dell’inflazione, decimando l’economia nazionale, tanto che oggi il pil pro-capite nello stato africano ammonta agli stessi livelli di inizio anni Ottanta e la Reserve Bank of Zimbabwe non stampa più nemmeno una moneta propria da otto anni, lasciando che gli scambi avvengano in diverse valute straniere, anche se il dollaro USA ha effettivamente sostituito quello locale, con inevitabili inefficienze legate a un cambio eccessivamente forte per l’economia emergente. (Leggi anche: Questa economia era ricca, un dittatore l’ha ridotta in miseria)
Mnangagwa vorrebbe chiudere con il passato, aprendo a una restituzione delle terre ai bianchi, non tanto per uno spirito di reale riconciliazione nazionale, quanto per tentare di ricostruire l’economia, attirando nuovamente capitali stranieri, che da tempo rimangono alla finestra, temendo le politiche nazionaliste e marxiste di Harare.
Bitcoin continuano a scambiare a forte premio
Troppo presto per fare il punto. Del resto, Mugabe si è dimesso solamente da un paio di settimane e il mercato segnala di volere attendere, prima di dare fiducia all’ex braccio destro del 93-enne dittatore storico. E così, i Bitcoin continuano ad essere scambiati nello Zimbabwe a forte premio rispetto alle quotazioni internazionali medie. Giovedì scorso, sul Golix, piattaforma di trading in uso nel paese, un’unità di moneta digitale si acquistava sui 26.000 dollari contro i circa 15.000 del resto del mondo. I Bitcoin fungono da mesi come rifugio per diversi investitori nazionali, anche se i volumi negoziati rimangono molto bassi: meno di 129 unità nell’ultimo mese.
Tuttavia, la Reserve Bank ha pubblicato i dati relativi ai pagamenti su mobile nel terzo trimestre, pari a 1,2 miliardi di dollari, pari a circa il 7,5% del pil nazionale. Considerando che tali numeri non includono le movimentazioni dei Bitcoin, in quanto formalmente asset illegale, si capisce come vi siano parecchi trasferimenti di denaro in questi mesi sfuggenti ai canali ufficiali, per via della scarsa credibilità di cui godono le istituzioni. La stessa “criptomoneta” ha assistito a un boom di scambi, con il solo mese di ottobre a transare lo stesso controvalore dell’intero 2016. Parliamo di appena 1 milione di dollari, ma i dati in forte crescita segnalano che gli investitori starebbero fuggendo da Harare.